Il nuovo intervento delle Sezioni Unite in tema di comodato e assegnazione della casa familiare

IL NUOVO INTERVENTO DELLE SEZIONI UNITE IN TEMA DI COMODATO E ASSEGNAZIONE DELLA CASA FAMILIARE

 

Nella prassi non è infrequente che i genitori concedano in comodato al figlio un immobile senza indicare un termine di durata del contratto.

La prova della destinazione funzionale dell’immobile alla soddisfazione delle esigenze abitative del figlio c.d. comodatario diventerà quindi fondamentale ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile per la restituzione dell’immobile.

Successivamente alla

Il comodato è il contratto con il quale una parte (comodante) consegna all’altra (comodatario) una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Il comodato è essenzialmente gratuito (art. 1803 c.c.).

Il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto. Se però, durante il termine convenuto o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, sopravviene un urgente e impreveduto bisogno al comodante, questi può esigerne la restituzione immediata (art. 1809 c.c.).

Se non è stato convenuto un termine né questo risulta dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario è tenuto a restituirla non appena il comodante la richiede (c.d. comodato precario – art. 1810 c.c.).

La giurisprudenza si è più volte pronunciata sui rapporti, che a seguito di separazione dei coniugi, intercorrono tra il contratto di comodato e l’ordinanza di assegnazione della casa familiare.

Per un primo orientamento, considerato che il termine di durata del comodato può risultare anche “dall’uso a cui la cosa doveva essere destinata”, le Sezioni Unite[1] si erano orientate, in caso di “concorde volontà delle parti” per la destinazione dell’immobile alle esigenze abitative familiari nell’individuare un termine implicito della durata del rapporto, la cui scadenza non è determinata ma è strettamente correlata alla destinazione impressa ed alle finalità cui essa tende, nelle esigenze abitative della famiglia.

Ne consegue, in caso di assegnazione della casa familiare (presupposto è l’esistenza di un figlio minore o non economicamente autosufficiente e la soluzione è da ritenersi estesa anche alla famiglia di fatto) che il coniuge assegnatario, costituisce il nucleo familiare residuo, nei rapporti col comodante ed è, pertanto, soggetto «alla medesima disciplina che avrebbe regolato i rapporti ove non si fosse verificata la crisi coniugale.

Ulteriore conseguenza è che lo stesso non potrà subire il recesso del comodante atteso che non risulta ancora cessato l’uso al quale la cosa era stata destinata, «fermo restando la facoltà del comodante di chiedere la restituzione nell’ipotesi di sopravvenienza di un bisogno segnato dai requisiti della urgenza e della non previsione, ai sensi dell’art. 1809, comma 2, c.c.

Al fine di porre rimedio ad una sostanziale espropriazione delle facoltà del comodante le Sezioni Unite[2], investite nuovamente della questione, hanno precisato  la necessità di una specifica verifica della comune intenzione delle parti in ordine alla effettività della destinazione a casa familiare da parte del comodante.

Ed infatti le Sezioni Unite offrono chiarimenti sul come e quando sorga il vincolo di destinazione dell’immobile oggetto di comodato a casa familiare e sul quando tale vincolo debba ritenersi cessato.

Il fatto che sia assente un termine di durata del contratto di comodato non comporta però un’automatica riconduzione allo schema del comodato a termine indeterminato (c.d. comodato precario) che giustificherebbe, ai sensi dell’art. 1810 c.c, un potere di recesso ad nutum da parte del comodante.

Il termine finale di durata potrebbe, infatti, essere desumibile dall’uso convenuto anche implicitamente con la previsione della destinazione dell’immobile a casa coniugale In tal caso, quindi, la durata del comodato andrebbe rapportata a tale uso trovando applicazione, in tema di restituzione l’art. 1809 c.c.

Le Sezioni Unite, richiamano l’attenzione da un lato sulla valutazione della sussistenza della pattuizione di un termine finale di godimento del bene, sostanzialmente riportandosi al proprio precedente, laddove si fa riferimento ad un accertamento se non espresso almeno univoco della pattuizione, dall’altro precisano che l’indagine deve essere volta ad “una scrupolosa verifica delle intenzioni delle parti, che tenga conto delle loro condizioni personali e sociali, della natura dei loro rapporti, degli interessi perseguiti”.

Il comodatario con cui convive la prole, affinché il comodato non sia da considerarsi precario e non trovi applicazione l’art. 1810 c.c. dovrà fornire la prova che la destinazione abitativa della famiglia era “la pattuizione attributiva del diritto personale di godimento”.

L’individuazione del termine finale del comodato diventa quindi una mera questione probatoria e nei casi in cui, come nella fattispecie, il comodato sia concesso anteriormente al matrimonio, non certo in prospettiva di una destinazione a casa familiare dell’immobile, non essendo ravvisabile un nucleo familiare già formato o in via di formazione, la prova risulterà più difficile e dovrà essere tesa a dimostrare che, dopo l’insorgere della nuova situazione familiare il comodato sia stato confermato e mantenuto per soddisfare gli accresciuti bisogni connessi all’uso familiare e non solo personale.

Il “mero problema di prova” sarà comunque da risolvere tenendo conto del carattere assolutamente libero della forma del contratto di comodato.

In contrasto con l’orientamento invalso dal 2004, si rinviene una sola pronuncia di legittimità recente[3], che si è esplicitamente rifatta a un precedente del 1997[4] per sancire la irrilevanza della destinazione a casa familiare di un immobile, con relativa configurabilità di un comodato precario, soggetto a recesso ad nutum.

Altra questione è invece se, in assenza di un termine finale, debba comunque farsi coincidere lo stesso con il venir meno delle esigenze abitative della famiglia, ovvero sia possibile un recesso ad nutum allorquando la richiesta di restituzione del bene avvenga in un periodo antecedente l’ordinanza di assegnazione.

In giurisprudenza[5] si è ritenuto che una volta cessata la convivenza ed in mancanza di un provvedimento giudiziale di assegnazione del bene, questo deve essere restituito al comodante, essendo venuto meno lo scopo cui il contratto era finalizzato.

 

Leonardo Vecchione

Avvocato in Roma

[1] Cassazione, SS.UU., 21 luglio 2004, n. 13603.

[2] Cassazione, SS.UU., 29 settembre 2014, n. 20448.

[3] Cassazione, 7 luglio 2010, n. 15986.

[4] Cassazione, 20 ottobre 1997, n. 10258.

[5] Cassazione, 14 febbraio 2012, n. 2103.