Il danno cagionato da animali selvatici e’ risarcibile dalla p.a. ai sensi dell’art. 2043 c.c. e non ai sensi ai dell’art. 2052 c.c.

IL DANNO CAGIONATO DA ANIMALI SELVATICI È RISARCIBILE DALLA P.A. AI SENSI DELL’ART. 2043 C.C. E NON AI SENSI AI DELL’ART. 2052 C.C.

 

In tema di risarcimento danni da responsabilità extracontrattuale, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4004 del 18 febbraio 2020[1] ha statuito che il danno cagionato dalla fauna selvatica in circolazione è risarcibile dalla P.A. non ex art. 2052 c.c., essendo lo stato di libertà della selvaggina incompatibile con qualsiasi obbligo di custodia, ma, anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 157 del 1992, in forza dell’art. 2043 c.c., con la conseguenza che spetta al danneggiato provare la condotta colposa causalmente efficiente dell’ente pubblico.

Conseguentemente, rileva la Cassazione, la pretesa di far discendere l’obbligo di predisporre dispositivi specifici, mirati ad avvisare del pericolo, ovvero a scoraggiare o a impedire l’attraversamento di animali selvatici a tutela degli utenti della strada, non potendo direttamente derivare dalla finalità di protezione delle specie animali e dall’attribuzione dei relativi poteri agli enti territoriali (nella specie la Provincia), non può che trovare fondamento in specifiche norme che impongono alla P.A., ad esempio in materia di circolazione sulla rete viaria, di adottare misure preventive a tutela di chi si trovi ad attraversare tali territori in una situazione di concreto pericolo. Altrimenti, dalla finalità generale della legislazione si farebbero discendere obblighi specifici, ai fini della valutazione della condotta negligente rilevante ai sensi dell’art. 2043 c.c., che andrebbero ben oltre la generica prudenza e diligenza richiesta in relazione al caso concreto.

Per la Suprema Corte, dunque, il dovere della P.A. di predisporre dispositivi specifici per avvisare dei rischi o scoraggiare l’attraversamento degli animali può trovare fondamento solo in norme particolari poste a tutela di chi si trovi ad attraversare un certo territorio in una situazione di concreto pericolo, da valutare “ex ante”, quale è, con riguardo all’utilizzo della rete viaria, l’art. 84, comma 2, reg. es. c.d.s., che impone, a fini general preventivi e sulla base di un principio di precauzione, l’installazione di segnali “quando esiste una reale situazione di pericolo sulla strada, non percepibile con tempestività da un conducente che osservi le normali regole di prudenza”.

Non trovando, dunque, applicazione alla fattispecie l’art. 2052 c.c., che individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva, trova, invece, applicazione il principio generale del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c. con la conseguenza che, chi intende ottenere il risarcimento del danno, dovrà provare, oltre al nesso causale sussistente tra la condotta omissiva e l’evento e quello tra l’evento ed il danno, anche il comportamento colposo della P.A. ed, a tal fine, perciò la circostanza che il luogo del sinistro fosse abitualmente frequentato da animali selvatici, ovvero fosse stato teatro di precedenti incidenti tali da allertare le autorità preposte nonché la particolare conformità dei luoghi (ad es. pareti boschive aggettanti immediatamente sulla strada)[2].

In tema di illecito civile, invero, rileva la Cassazione, la ricostruzione del nesso di derivazione eziologica esistente tra la condotta del danneggiante e l’oggetto dell’obbligazione risarcitoria implica la scomposizione del giudizio causale in due autonomi e consecutivi segmenti: il primo è volto ad identificare il nesso di causalità materiale o “di fatto” che lega la condotta all’evento di danno; il secondo è, invece, diretto ad accertare, secondo la regola dell’art. 1223 c.c., (richiamato dall’art. 2056 c.c.), il nesso di causalità giuridica che lega tale evento alle conseguenze dannose risarcibili[3].

Con riferimento, infine, alla legittimazione passiva, si rileva che la responsabilità extracontrattuale per i danni provocati da animali selvatici alla circolazione dei veicoli deve essere imputata all’ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc., cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, anche in attuazione della legge n. 157 del 1992, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, sia che i poteri di gestione derivino dalla legge, sia che trovino la fonte in una delega o concessione di altro ente”.

In particolare, in giurisprudenza[4] è stato rilevato che la delega per la gestione della fauna selvatica risulta concretamente attuata in favore delle singole Province. Di conseguenza, i poteri di protezione e gestione della fauna selvatica attribuiti alle Province espongono queste ultime a una responsabilità per i danni cagionati dagli animali selvatici, atteso che l’esercizio di tali poteri è indirizzato sia alla tutela del complessivo equilibrio dell’ecosistema sia alla sicurezza dei soggetti potenzialmente esposti ai danni derivanti dagli imprevedibili comportamenti della fauna”[5].

 

Leonardo Vecchione

Avvocato in Roma

[1] Cfr. Cass. civ., sez. III, ord., 18 febbraio 2020, n. 4004; conforme a Cass. Civ., sez. III, ord. 27 febbraio 2019 n. 5722; Cass. Civ., sez. III, sent. 09 agosto 2016 n. 16642; Cass. Civ., sez. I, sent. 24 aprile 2014 n. 9276; Cass. Civ., sez. III, Sent. 28 marzo 2006 n. 7080.

[2] Elementi valorizzati da Cass. civ., sez. III, ord., 23 gennaio 2018, n. 1579 e Cass. civ., sez. III, 28 marzo 2006, n. 7080.

[3] Cfr. Cass. civ., sez. III, ord., 13 settembre 2019 n. 22857; Cass. civ., sez. I, sent., 03 gennaio 2017 n. 47; Cass. civ., sez. III, sent., 08 luglio 2010, n. 16123; Cass. civ., sez. unite, 11 gennaio 2008, n. 576.

[4] Cfr. Cass. civ., sez. III, sent., 08 gennaio 2010, n. 80; Cass. civ., sez. III, sent., 10 ottobre 2014, n. 21395; Cass. civ., sez. III, ord., 31 luglio 2017, n. 18952.

[5] Cfr. Cass. civ., sez. VI, ord., 17 settembre 2019, n. 23151; Cass. civ., sez. III, 23 gennaio 2018, n 1579; Cass. civ., sez. III, sent., 10 novembre 2015, n. 22886.