Il diritto all’immagine

IL DIRITTO ALL’IMMAGINE

La tutela del diritto all’immagine ha acquisito negli ultimi anni una sempre crescente rilevanza soprattutto a seguito del continuo sviluppo tecnologico e alla diffusione di internet che caratterizza ormai la nostra società in tutti in suoi più vari aspetti. Questo comporta che la sfera di riservatezza di ciascun individuo è sempre più esposta ad intrusioni altrui, spesso del tutto ingiustificate e comunque non autorizzate.

Nell’ordinamento italiano il diritto all’immagine rientra nel novero dei diritti della personalità, seppur non specificatamente indicato dalla Costituzione, poiché rappresenta un’espressione del diritto alla riservatezza diretto a proteggere la sfera più intima e quindi la privacy di una persona. Più in particolare esso ha ad oggetto tutto ciò che è stato definito come il segno distintivo essenziale diretto a rappresentare le sembianze, l’aspetto fisico del soggetto nonché l’espressione e il modo di essere dello stesso, essendo pertanto volto a garantire ad ogni individuo uno spazio di riservatezza in relazione alla propria vita ed a quelle caratteristiche della propria personalità che non intende divulgare a terzi.

Il diritto all’immagine è pertanto il diritto di una persona affinché la propria immagine non venga divulgata, esposta o comunque pubblicata senza il proprio consenso e comunque fuori dai casi previsti dalla legge.

Nello specifico, sebbene il diritto all’immagine non sia esplicitamente incluso tra i diritti inviolabili della personalità (ossia quei diritti che hanno ad oggetto aspetti essenziali della personalità umana), la giurisprudenza ha unanimemente riscontrato il fondamento giuridico della tutela di tale diritto nell’art. 2 della Costituzione che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’individuo sia nella sfera individuale che in quella collettiva.

Il diritto all’immagine è disciplinato all’art. 10 c.c. che definisce l’abuso del diritto all’immagine indicando i comportamenti vietati dalla legge e prevedendo il risarcimento dei danni e la cessazione dell’abuso da parte di chi espone o pubblica l’immagine di una persona o dei suoi congiunti fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge o dal soggetto consentita.

Il diritto all’immagine rientra nella categoria dei diritti della persona per definizione assoluti a tutela dei quali si applica l’art. 2043 c.c. ai sensi del quale è tenuto al risarcimento del danno il soggetto che con un fatto doloso o colposo rechi ad altri un danno ingiusto.

Il suddetto articolo deve essere integrato con gli artt. 96 e 97 della Legge sul Diritto d’Autore (L. n. 633/41, in seguito solo L.d.A) che disciplinano e regolamentano i casi in cui è possibile riprodurre e sfruttare economicamente il diritto all’immagine altrui.

L’art. 96 della L.d.A. introduce nel nostro ordinamento il c.d. “principio del consenso” stabilendo che per riprodurre, esporre o mettere in commercio l’immagine di una persona è sempre necessario ottenere il suo consenso. Tale consenso infatti viene introdotto nel nostro ordinamento il 22 aprile del 1941 con la legge n. 633 la quale, all’art. 96 recita appunto “il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa”.

È importante sottolineare che in forza di detto principio, non viene mai ceduto il diritto all’immagine, che rimane personalissimo e quindi inalienabile, ma solo l’esercizio dello stesso e quindi alla sua riproduzione. Quanto alle modalità attraverso le quali il consenso può essere manifestato, la legge non prevede che vengano rispettati particolari vincoli di forma, potendo lo stesso essere rilasciato sia in forma espressa che implicita.

Inoltre non bisogna trascurare un aspetto fondamentale costituito dai limiti fissati dalla persona ritratta relativamente all’uso (riproduzione) della propria immagine che circoscrivono l’area del consenso. La giurisprudenza impone di valutare i limiti imposti in modo estremamente rigoroso sia con riferimento alle circostanze di tempo, di luogo e di finalità per cui il consenso è stato prestato (c.d. limiti oggettivi) che con riguardo esclusivo al soggetto e/o soggetti in favore dei quali il consenso è stato rilasciato (c.d. limiti soggettivi).

L’art. 97 L.d.A invece prevede una eccezione alla c.d. regola del consenso del soggetto ritratto stabilendo che si può legittimamente prescindere dallo stesso, quando la pubblicazione dell’immagine è giustificata: dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto; da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali; quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.

Tuttavia, la giurisprudenza è intervenuta più volte nel corso degli anni per regolamentare e disciplinare le deroghe di cui all’art. 97 L.d.A e con specifico riferimento alla riproduzione delle immagini della persona famosa è stato stabilito che la notorietà è necessaria, ma non sufficiente a giustificare l’assenza del consenso, essendo invece imprescindibile che la divulgazione dell’immagine corrisponda ad esigenze di pubblica informazione, ossia per far conoscere le fattezze della persona nota, per documentare visivamente le notizie che dalla stessa vengono date al pubblico, essendo al contrario illecito il comportamento quando il ritratto della persona celebre venga sfruttato a fini pubblicitari.

A norma dell’art. 10 c.c. nonché degli artt. 96 e 97 della Legge sul Diritto d’Autore la divulgazione dell’immagine senza il consenso dell’interessato, con riguardo alla particolare ipotesi del ritratto della persona nota, è infatti lecita soltanto se risponda ad esigenze di pubblica informazione e non anche pertanto ove sia rivolta a fini pubblicitari. In quest’ultima ipotesi vi è un’interpretazione restrittiva della deroga al c.d. principio del consenso deve essere, poiché secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente il diritto all’immagine è sacrificabile solo in presenza di un’esigenza sociale connessa al diritto di cronaca e all’interesse generale dell’informazione.

Nel caso in cui la riproduzione e la divulgazione abbiano per oggetto delle riprese fatte durante avvenimenti di interesse pubblico o che si siano svolti in pubblico, occorre precisare che è necessario non solo che la persona sia stata ritratta in un luogo pubblico ma anche che in tale posto vi sia stato un episodio di una certa rilevanza al quale si ricollega la riproduzione dell’immagine altrui. Infatti ai fini di un lecito utilizzo dell’immagine in questione deve sussistere un nesso di pertinenza tra la riproduzione della stessa e l’evento pubblico o di interesse pubblico, sia al momento della ripresa mediante scatti fotografici o telecamere, sia per tutto l’arco temporale della sua divulgazione, connotando, sia pure in versione rievocativa dell’evento iniziale, tutti i successivi episodi di riproduzione.

L’art. 97 co. 2 L.d.A., stabilisce che in ogni caso è vietata l’esposizione e la messa in commercio del ritratto quando questo rechi pregiudizio all’onore, alla reputazione e al decoro della persona ritratta.

L’uso dell’immagine altrui in assenza di consenso o fuori dei casi previsti dalla legge, o comunque in pregiudizio del suo onore e reputazione rappresenta un vero e proprio atto illecito da cui può derivare un danno sia di natura patrimoniale che morale.

Tale diritto ha infatti un contenuto sia patrimoniale che non patrimoniale: è infatti sicuramente non patrimoniale in quanto rientrante nell’ambito della riservatezza e patrimoniale in quanto ne può derivare uno sfruttamento economico.

In particolare quindi il danno patrimoniale riguarda la lesione del diritto allo sfruttamento economico dell’immagine e la riduzione del suo valore commerciale, nonché la lesione del diritto di sfruttare la propria notorietà.

Con riferimento alla quantificazione del danno derivante dall’abuso del diritto d’immagine il criterio spesso utilizzato dai giudici è quello del “prezzo del consenso” cioè del compenso che avrebbe presumibilmente richiesto dal soggetto ritratto per concedere il suo consenso alla pubblicazione della propria immagine.

Nel caso in cui si tratti dell’immagine di un personaggio noto la quantificazione del danno risulta più semplice poiché il valore del danno patrimoniale può essere commisurato ai vantaggi economici di cui l’autore dell’illecito si è indebitamente appropriato, che sarebbero invece spettati eventualmente alla persona ritratta.

Diversamente riferendosi ad un ritratto di una persona non famosa, ove non vi sono i parametri per valutare a prezzi di mercato l’utile che deriva dallo sfruttamento commerciale della stessa.

È infine evidente che l’illegittima pubblicazione di immagini violando diritti della personalità anche costituzionalmente garantiti può cagionare anche una lesione del diritto alla protezione dei dati personali e del diritto alla riservatezza, che obbliga l’autore dell’illecito a risarcire anche il danno morale. Danno morale che non può essere ritenuto in re ipsa, ma deve essere però oggetto di specifica prova anche occorrendo sotto l’aspetto presuntivo.

 

Giulia Vecchione