
IL PIANO ATTESTATO DI RISANAMENTO E GLI ACCORDI DI RISTRUTTURAZIONE DEL DEBITO NEL NUOVO CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA E DELL’INSOLVENZA
I piani attestati di risanamento e gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono strumenti di regolazione della crisi di impresa, già previsti dalla normativa vigente (rispettivamente dall’art. 67, comma 2, lett. d), L.F. e dall’art. 182-bis, L.F.), che sono stati modificati nella disciplina del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (CCII)[1] in un’ottica di rivitalizzazione degli strumenti in questione che di fatto hanno trovato poco successo nel corso dell’attuale normativa.
Il piano attestato di risanamento assurge ora a vero e proprio istituto giuridico trovando una disciplina specifica all’art. 56 del CCII.
Il piano attestato di risanamento mantiene la sua natura di strumento negoziale stragiudiziale, che in quanto tale non prevede l’omologazione del tribunale e, quindi, quell’intervento dell’autorità giudiziaria tipico delle procedure concorsuali che ha funzione di controllo e di tutela dell’intero ceto creditorio.
I presupposti dell’istituto sono, sotto un profilo soggettivo, la qualità di imprenditore assoggettabile a fallimento, rectius, con la nuova denominazione del CCII, a liquidazione giudiziale e, sotto un profilo oggettivo, l’esistenza di una situazione di crisi e, quindi, di una difficoltà non irreversibile e non già una difficoltà irreversibile che caratterizza, invece, l’insolvenza.
La finalità dell’istituto è, infatti, quella di consentire il risanamento dell’esposizione debitoria dell’impresa e di assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria e non, dunque, una mera liquidazione dei beni.
Il piano di risanamento può essere proposto a uno o più creditori ed è finalizzato al recupero di una normale situazione economica e finanziaria attraverso la continuità aziendale.
L’art. 56 del CCII, nel prevedere che il piano deve avere data certa, indica anche analiticamente il contenuto dello stesso, disponendo, inoltre, che lo stesso deve essere accompagnato dalla relazione di un professionista indipendente che deve attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità economica e giuridica del piano.
La norma non prevede una durata del piano di risanamento in quanto trattasi, tra l’altro, di un accordo di natura privatistica con il creditore e/o i creditori, ma è evidente che l’individuazione di una durata ragionevole attribuisce al medesimo un elemento in grado di incidere sulla valutazione di convenienza che verrà effettuata dal creditore.
Nel caso in cui, poi, non si verifichi il risanamento dell’impresa perseguito dall’impresa, il piano attestato acquista, comunque, una certa rilevanza giuridica in quanto, prima l’art. 67, comma 3, lett. d), L.F. e ora l’art. 166, comma 3, lett. d), CCII, prevedono che non sono soggetti all’azione revocatoria gli atti, i pagamenti e le garanzie concesse su beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano attestato di risanamento.
L’art. 324 del CCII prevede, inoltre, l’esenzione dai reati di bancarotta preferenziale e semplice con riferimento ai pagamenti ed alle operazioni compiute in esecuzione del piano attestato.
Altra peculiarità dell’istituto è, infine, la riservatezza degli accordi sottoscritti dal momento che la pubblicazione del piano nel registro delle imprese è facoltativa come espressamente si evince dall’art. 56, comma 5, CCII.
Gli accordi di ristrutturazione dei debiti sono, invece, strumenti negoziali stragiudiziali soggetti ad omologazione da parte del tribunale, e sono disciplinati, nella normativa in vigore agli artt. 182-bis e segg. L.F., mentre, con l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, troveranno collocazione agli artt. 57 e segg. CCII.
Differentemente dal piano attestato di risanamento, l’accordo di ristrutturazione del debito è uno strumento che può essere utilizzato anche ai fini liquidatori dell’impresa.
Gli accordi di ristrutturazione sono conclusi dall’imprenditore in stato di crisi con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e sono soggetti ad omologazione da parte del tribunale. A tal fine l’imprenditore deve, infatti, depositare l’accordo unitamente al piano di risanamento, il cui contenuto è indicato dall’art. 161 L.F. e dall’art. 56 CCII alla sua entrata in vigore, una relazione di un professionista che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano medesimo nonché l’attuabilità dell’accordo stesso con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l’integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei seguenti termini:
a) entro centoventi giorni dall’omologazione, in caso di crediti già scaduti a quella data;
b) entro centoventi giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell’omologazione.
L’accordo è pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione.
Dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, nè acquisire titoli di prelazione se non concordati.
Entro trenta giorni dalla pubblicazione i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione. Il tribunale, decise le opposizioni, procede all’omologazione.
Anche l’accordo di ristrutturazione consente, in caso di successivo fallimento, l’esenzione da revocatorie e reati fallimentari, tali salvaguardie si concretizzano con l’omologazione.
Con la nuova disciplina del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza è stata ampliata dal nuovo art. 61 CCII la possibilità, già prevista dall’art 182-septies, L.F., di accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa in deroga agli artt. 1472 e 1411 c.c. in presenza dei requisiti espressamente indicati (omogeneità delle categorie, buona fede nelle trattative, informative complete ed aggiornate, soddisfazione in misura non inferiore rispetto alla liquidazione giudiziale).
La possibilità di un’estensione forzosa dell’accordo ai creditori non aderenti viene prevista anche nei confronti dei creditori non finanziari, solo però in caso di finalità di risanamento e non liquidatorie e, quindi, nel caso in cui l’accordo preveda la prosecuzione dell’attività di impresa in via diretta o indiretta.
In entrambi i casi i crediti degli aderenti devono rappresentare la metà dell’indebitamento complessivo e devono rappresentare il settantacinque per cento di tutti i crediti appartenenti alla categoria.
In tal caso il debitore deve notificare l’accordo, la domanda di omologazione ed i documenti allegati ai creditori nei confronti dei quali chiede di estendere gli effetti dell’accordo.
Al fine di dare nuova linfa all’istituto, ad oggi penalizzato anche dalla mancata adesione da parte dell’amministrazione finanziaria alle proposte di accordo, l’art. 48, comma 5, CCII, prevede che “Il tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’articolo 57, comma 1, e 60 comma 1 e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”.
L’art 60 del CCII prevede, inoltre, la possibilità di accordi con il trenta per cento dei crediti quando il debitore: a) non proponga la moratoria dei creditori estranei agli accordi; b) non abbia richiesto e rinunci a richiedere misure protettive temporanee.
Altra peculiarità della nuova disciplina è quella prevista dall’art. 59 del CCII che prevede l’estensione degli effetti degli accordi ai coobbligati, ai soci illimitatamente responsabili ed agli obbligati in via di regresso.
L’accordo di ristrutturazione, infine, può contenere una convenzione di moratoria (art. 62 CCII) e la transazione fiscale (oggi disciplinata dall’art. 182-ter, L.F. e dall’entrata in vigore del Codice della Crisi d’impresa e dell’insolvenza dall’art. 63 CCII).
Leonardo Vecchione
Avvocato in Roma
[1] Il D.lgs., 12 gennaio 2019, n° 14 che introduce i Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza entrerà in vigore, giusta il rinvio di cui all’art. 5 del D.L., 8 aprile 2020 n° 23, dal 1 settembre 2021, salvo quanto previsto al comma 2 dell’art. 389 del D.lgs., 12 gennaio 2019, n° 14.