LA SENTENZA DICHIARATIVA DI FALLIMENTO PRODUCE I SUOI EFFETTI DALL’ORA ZERO E INDIPENDENTEMENTE DALLA CONOSCENZA DELL’EVENTO
La sentenza dichiarativa di fallimento produce i suoi effetti dall’ora zero del giorno della sua pubblicazione. Ne consegue che dall’inizio di tale giorno il fallito è privato dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni (art. 42 legge fallimentare) e sono inefficaci nei confronti dei creditori concorsuali tutti gli atti da lui compiuti e i pagamenti da lui eseguiti o ricevuti (art. 44 legge fallimentare) indipendentemente dalla conoscenza dell’evento.
La Suprema Corte di Cassazione[1] ha recentemente statuito che la c.d. “zero hour rule” si applica anche successivamente all’entrata in vigore del d.lgs., 12 aprile 2001, n. 210 confermando la precedente giurisprudenza di legittimità[2].
Per la Cassazione, quindi, il richiamo che l’art. 3, comma 1 del d.lgs., 12 aprile 2001, n. 210 (rubricato apertura della procedura di insolvenza), fa al “giorno, l’ora e il minuto in cui si producono gli effetti della sospensione di pagamenti” risulta espressamente circoscritto “ai fini del presente decreto”, come propriamente destinato a regolare il tema della “definitività degli ordini immessi in un sistema di pagamento o di regolamento titoli” e non comporta che l’inefficacia di cui all’art. 44 legge fallimentare richieda una espressa e sicura posteriorità.
Rileva, infatti, la Suprema Corte che il sistema su cui riposa la vigente legge fallimentare assicura, che il focus della stessa non si ferma sul punto della “espressa e sicura posteriorità” degli atti compiuti con il fallito. Si focalizza, piuttosto, nell’opposta prospettiva della certezza dell’anteriorità alla dichiarazione di tale ordine di fatti, secondo quanto si desume, se non altro, dalla norma dell’art. 45 l.f.
Nella fattispecie in esame il fallimento aveva ottenuto l’accertamento dell’inefficacia ex art. 44 l.f., di un pagamento coattivo effettuato a favore di una banca da un terzo pignorato, con connessa condanna restitutoria delle relative somme.
In tema di inefficacia degli atti e dei pagamenti eseguiti dal fallito successivamente alla dichiarazione di fallimento si rileva che il fallimento del correntista determina ipso iure lo scioglimento del contratto di conto corrente bancario e la cristallizzazione, alla corrispondente data, dei rapporti di debito/credito tra le parti[3].
L’inefficacia ex art. 44 l.f. degli addebiti effettuati sul conto corrente del fallito successivamente alla pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento è applicabile, inoltre, anche nel caso di conto corrente postale e ciò senza che sia necessaria la notificazione del fallimento del correntista a Poste Italiane S.p.a. Le norme della legge fallimentare sono, infatti, applicabili anche ai conti correnti postali, in virtù della espressa previsione di cui all’art. 24 D.P.R. n. 156 del 1973, non derogata dal successivo art. 82, posto che la disciplina prevista dall’art. 17 l.f. fonda la sussistenza di una presunzione generale di conoscenza della pronuncia che dichiara aperta la procedura concorsuale[4].
L’art. 44, comma 1, l.f., nel prevedere l’inefficacia, rispetto ai creditori, dei pagamenti eseguiti dal fallito dopo la dichiarazione di fallimento, configura logico corollario della perdita della disponibilità dei beni acquisiti al fallimento stesso (art. 42 l.f.) e mira a preservare l’integrità dell’attivo, assicurando la “par condicio creditorum”. La norma in questione, alla luce della valenza letterale dell’espressione “pagamenti eseguiti dal fallito”, nonchè del presupposto sul quale essa norma si basa e della finalità da essa perseguita, è riferibile agli atti estintivi di obbligazioni del “solvens”, compiuti con prelievo dal suo patrimonio e con connesso trattamento preferenziale dello “accipiens”[5]. Diversamente, infatti, il credito di quest’ultimo verrebbe ad essere sottratto alla verifica concorsuale ed alla falcidia dei crediti privilegiati di grado anteriore.
In tema di legittimazione passiva e di rapporti tra l’azione restitutoria ex art. 44 l.f. e l’azione recuperatoria del saldo attivo di conto corrente che deriva dall’art. 78 l.f. e dalla cristallizzazione dei rapporti all’ora zero della data di dichiarazione del fallimento così come in tema di un’eventuale responsabilità extracontrattuale della banca si veda Cass. civ., sez. III, sent., 20 marzo 2020, n. 7477[6].
I diversi elementi costitutivi delle domande comportano una diversa qualificazione giuridica della fattispecie da dedurre in giudizio con la conseguenza che la curatela fallimentare dovrà prestare attenzione all’allegazione dei fatti costitutivi della pretesa.
Leonardo Vecchione
Avvocato in Roma
[1] Cfr. Cass. civ., sez. VI – 1, Ord., 27 febbraio 2019, n. 5781 conforme da ultimo a Cass. civ., sez. III, sent., 20 marzo 2020, n. 7477.
[2] Cfr. Cass. civ., sez 1, 19 luglio 2016, n. 14779 e Cass., 18 agosto 1976, n. 3047, in Giust. Civ., 1976, I, 1557.
[3] Cfr. Cass. civ., sez. I, 21 agosto 2013, n. 19325.
[4] Cfr. Cass. civ., sez. I, Ord., 05 marzo 2019, n. 6375 conforme a Cass. Cass. civ., sez. I, 29 marzo 2005, n. 6624. La Cassazione con citate pronunce ha, infatti, statuito che: “Le norme della legge fallimentare sono applicabili anche ai conti correnti postali, in virtù della espressa previsione di cui all’art. 24 d.P.R. n. 156 del 1973, non derogata dal successivo art. 82, con la conseguenza che devono ritenersi inefficaci ex art. 44, l.fall., gli addebiti effettuati su detto conto dopo la pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento, senza che sia necessaria la sua notificazione a Poste Italiane s.p.a., posto che la disciplina prevista dall’art. 17 l.fall. fonda la sussistenza di una presunzione generale di conoscenza della pronuncia che dichiara aperta la procedura concorsuale”. L’assunto per il quale il D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 24, comma 3, che fa salva la disciplina fallimentare – dovrebbe applicarsi solo in caso di “Sequestro, pignoramento ed opposizione” (conformemente alla rubrica della norma) aventi ad oggetto somme di pertinenza di un soggetto fallito, non già tout court in caso di fallimento, è infatti infondato. Il rilievo, inoltre, che solo questa interpretazione darebbe senso al D.P.R. 1 giugno 1989, n. 256, art. 82, che prevede la notifica del fallimento del correntista all’ufficio detentore del conto corrente, esonerando in mancanza Poste Italiane da qualsiasi responsabilità, non sposta, infine, i termini della questione atteso che la possibilità di prosecuzione del rapporto di conto corrente in capo agli organi della procedura o, alternativamente, la sua risoluzione, al momento della notificazione della sentenza di fallimento, non rilevano ai fini della problematica in questione, che trova la sua disciplina unicamente nella art. 44 della legge fallimentare.
[5] Cfr. Cass. civ., sez. V, 18 aprile 2000, n. 4957.
[6] Cass. civ., sez. III, sent., 20 marzo 2020, n. 7477 rileva che “La fattispecie descritta dalla L. Fall., art. 44, in relazione ai pagamenti, ipotizza che l’atto, o meglio gli effetti giuridici dell’atto, siano riferibili alla sfera patrimoniale del fallito, con la conseguenza che, il pagamento effettuato mediante ordine di bonifico, richiede l’esistenza di un valido ed efficace rapporto contrattuale con la banca (da individuarsi nella convenzione di delegazione di pagamento accessoria al contratto di conto corrente) tale da giustificare la riferibilità al delegante (fallito) dell’atto giuridico compiuto dalla banca-delegata, ed a qualificare detto atto come “pagamento”, ossia come adempimento estintivo di un’obbligazione che era stata assunta dal soggetto (poi dichiarato fallito) nei confronti del terzo, con effetto satisfattivo del credito.
Posta in questi termini la fattispecie delineata dalla L. Fall., art. 44, risulta del tutto evidente come: a) l’azione dichiarativa della inefficacia, debba essere svolta nei confronti del terzo-“accipiens”, quale unico legittimato passivo, in quanto diretta a privare l’atto giuridico-pagamento dell’effetto estintivo del debito, con la conseguenza, da un lato, che il curatore potrà recuperare dal terzo la somma a questi versata, eventualmente azionando il titolo esecutivo relativo al capo di condanna della sentenza dichiarativa della inefficacia; dall’altro che, persistendo inadempiuta la obbligazione originaria, il terzo sarà legittimato ad insinuare il proprio credito al passivo della procedura concorsuale; b) la banca-delegata rimane del tutto estranea al rapporto obbligatorio tra il fallito ed il terzo, e non è, pertanto, destinataria nè dell’azione di inefficacia, nè della azione di condanna alla restituzione, fatta salva una sua eventuale responsabilità, ad altro e diverso titolo, nei confronti del proprio cliente (fallito), che dovrà, allora, essere dedotta specificamente in giudizio dal curatore, a fondamento di una distinta azione di condanna.
Risulta, dunque, evidente come l’azione L. Fall., ex art. 44, sia fondata su presupposti diversi rispetto alla domanda volta a ricondurre l’insorgenza della obbligazione restitutoria della somma di denaro, a carico della banca-delegata, al distinto presupposto fattuale dell’inadempimento della relativa obbligazione derivante dal contratto di conto corrente, in seguito alla cessazione ex lege dello stesso e della accessoria convenzione di delegazione (L. Fall., art. 78), non avendo la banca ottemperato a trasferire il saldo attivo del conto agli organi fallimentari, così come cristallizzatosi nel suo ammontare alla data della dichiarazione di fallimento. E come ancora diversa sia la domanda di condanna fondata sul presupposto della inesistenza di qualsiasi vincolo obbligatorio “ex contractu” tra le parti, con la quale si venga ad individuare, nell’atto di disposizione del denaro appartenente al soggetto fallito – distratto a vantaggio del terzo creditore -, una condotta illecita da cui si intenda far derivare la responsabilità extracontrattuale della banca per indebita appropriazione”.