Nota a sentenza responsabilità del socio cedente nella snc

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Pres. Varrone Rel. Amendola

Sentenza 12 gennaio 2011 n. 525

Svolgimento del processo

I fatti di causa possono così ricostruirsi sulla base della sentenza impugnata.

E. e D.A. proposero opposizione all’esecuzione intrapresa in loro danno da C.R.M. in forza di venti pagherò cambiari emessi per il pagamento del prezzo della quota, pari al 50% del capitale sociale di (OMISSIS) s.n.c., ceduta dalla C., con scrittura del (OMISSIS), a D.E.. A sostegno del mezzo dedussero che il credito azionato doveva ritenersi estinto per compensazione, avendo essi pagato un residuo debito vantato da MDL Allestimenti nei confronti della società, anche per la parte posta a carico della cedente, di talché, ex artt. 2289 e 2290 cod. civ., avevano ora diritto di regresso nei confronti della socia uscente. A tale controcredito andavano poi aggiunti quelli nascenti dalla condanna al pagamento di spese di giudizio contenuta in due sentenze del Tribunale di Roma.

Resistette la C., eccependo in limine la litispendenza tra il presente giudizio e altro già deciso in prime cure e ora pendente in grado di appello; chiedendo inoltre, in subordine, la sospensione del processo, ex art 295 cod. proc. civ..

Con sentenza del 26 aprile 2006 il Tribunale di Rieti, escluso il rapporto di identità tra le due cause indicate dall’opposta – essendo l’una di opposizione all’esecuzione, e l’altra di opposizione a precetto nonchè la sussistenza delle condizioni per la sospensione del processo, ha rigettato l’opposizione.

Ha segnatamente osservato il decidente che gli artt. 2289 e 2290 cod. civ., non sono applicabili alla presente fattispecie, in cui vi è stata una cessione della partecipazione, ma esclusivamente all’ipotesi in cui il rapporto sociale si sia sciolto limitatamente a un socio, e cioè alle ipotesi di recesso o di esclusione. Ha aggiunto che, in ogni caso, la responsabilità del socio uscente è solo nei confronti dei terzi, non già degli altri soci; che tale responsabilità è relativa a debiti derivanti da operazioni in corso al momento dello scioglimento, laddove, nella fattispecie, il debito afferiva a una operazione conclusa molto tempo prima; che, a norma dell’art. 2269 cod. civ., chi entra a far parte di una società risponde anche dei debiti anteriori all’acquisto, mentre, a norma dell’art. 2291 cod. civ., (rectius, art. 2290) la responsabilità personale illimitata del socio per le obbligazioni sociali non sopravvive alla cessazione della qualità di socio; che era pacifico tra le parti, quanto ai crediti vantati dagli opponenti per spese di giudizio, che essi sarebbero stati portati in compensazione in sede distributiva.

Avverso detta pronuncia propongono ricorso per cassazione, illustrato anche da memoria, E. e D.A., formulando tre motivi.

Resiste con controricorso C.R.M..

Motivi della decisione

1 Col primo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 39 e 295 cod. proc. civ., segnatamente contestando la mancata sospensione del giudizio in attesa della definizione di quello di opposizione a precetto pendente davanti alla Corte d’appello di Roma nonché di altro giudizio di opposizione, pendente davanti al Tribunale di Rieti, proposto ai sensi dell’art. 615 cod. proc. civ., comma 2, avverso l’esecuzione iniziata con atto di pignoramento immobiliare, dopo la notifica di un nuovo e distinto atto di precetto per il medesimo credito di cui qui si discute. Deducono che in entrambi i giudizi è stata riproposta l’eccezione di compensazione derivante dal controcredito alla restituzione delle somme pagate in luogo della C., di talché tra le cause sussiste litispendenza parziale o continenza, dipendendo il loro esito dalla soluzione di una questione comune ad entrambe.

2 Il motivo è, per certi aspetti inammissibile, per altri infondato.

Per quanto risulta dalla sentenza impugnata, fu l’opposta C. a chiedere al Tribunale di disporre la sospensione, prospettando la pendenza del giudizio di appello avverso la decisione emessa in sede di opposizione a precetto. Ma il giudice di merito, considerato che tale decisione aveva riguardato la sola opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617 cod. proc. civ., mentre i motivi di opposizione all’esecuzione proposti in via subordinata dall’opponente erano stati ritenuti assorbiti, escluse la ricorrenza dei presupposti della richiesta sospensione.

Ne deriva che devono ritenersi prospettate per la prima volta in questa sede e la questione della necessità di disporre la sospensione in attesa della definizione dell’altro giudizio di opposizione, incardinato davanti al Tribunale di Rieti a seguito della notifica di un nuovo e distinto atto di precetto, con pedissequo pignoramento immobiliare; e quella dell’attinenza del giudizio di opposizione, attualmente pendente in grado di appello, anche all’eccezione di compensazione qui fatta valere. Ma, se così è, la censura, in quanto volta a veicolare una istanza di sospensione proposta per la prima volta in Cassazione, è inammissibile, esulando il provvedimento richiesto dalla funzione istituzionale di questa Corte, cui è demandato soltanto il sindacato di legittimità delle anteriori decisioni di merito (Cass. civ., 31 maggio 2006, n. 13001).

2.1 Il motivo è invece infondato con riferimento ai profili già esaminata dal giudice a quo, perchè la decisione del Tribunale in punto di insussistenza dei presupposti della sospensione, tenuto conto della diversità dei mezzi azionati e dell’area di incidenza delle due opposizioni tra le quali dovrebbe sussistere l’evocato nesso di pregiudizialità, è conforme agli enunciati della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la sospensione necessaria del processo può essere disposta, a norma dell’art. 295 cod. proc. civ., quando la decisione del medesimo dipenda dall’esito di altra causa, nel senso che questa abbia portata pregiudiziale in senso stretto, e cioè vincolante, con efficacia di giudicato, all’interno della causa pregiudicata (confr. Cass. civ. 28 dicembre 2009, n. 27426).

4 Col secondo mezzo, articolato in tre sezioni, i ricorrenti lamentano:

a) violazione dell’art. 2289 cod. civ., norma che, contrariamente a quanto ritenuto dal decidente, si applicherebbe a qualsiasi ipotesi di scioglimento del rapporto sociale limitatamente a un socio, e quindi anche all’ipotesi di cessione della partecipazione, in quanto forma di attuazione del recesso del socio alienante dalla compagine (confr. Cass. civ. 4 giugno 1999, n. 5479);

b) vizi motivazionali con riferimento alla affermazione del giudice di merito secondo cui nella fattispecie il debito, in quanto sorto anteriormente allo scioglimento, non era qualificabile come perdita derivante da un’operazione in corso, laddove decisivo, ai fini che qui interessano, sarebbe, insieme all’anteriorità del debito rispetto alla fuoriuscita del socio dalla compagine, il termine di adempimento dell’obbligazione. c) violazione degli artt. 2269, 2289, 2290 cod. civ., per avere il giudice di merito fatto discendere la liberazione dall’obbligazione di pagamento della C. dall’art. 2269 cod. civ., laddove tale norma, volta a sancire la responsabilità del nuovo socio anche per i debiti anteriori all’acquisto, sarebbe destinata a disciplinare esclusivamente la responsabilità di coloro che entrano a far parte della compagine nei confronti dei creditori sociali, non già nei rapporti interni, rapporti che resterebbero invero presidiati dall’art. 2289 cod. civ..

5 Le critiche non hanno pregio, ancorché la motivazione della sentenza impugnata debba essere integrata e corretta, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 384 cod. proc. civ..

Il regime della responsabilità del socio della società di persone, per ciò che attiene alle obbligazioni contratte dalla società, è, in via di principio, disciplinato dagli artt. 2269 e 2290 cod. civ., entrambi dettati in tema di società semplice, ma sicuramente applicabili anche alla società in nome collettivo in forza del rinvio operato dall’art. 2293 cod. civ.: l’art. 2269, stabilisce che chi entra a far parte di una società già costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all’acquisto della qualità di socio; l’art. 2290, prevede che nei casi in cui il rapporto sociale si scioglie limitatamente a un socio, questi o i suoi eredi sono responsabili verso i terzi per le obbligazioni sociali fino al giorno in cui si verifica lo scioglimento.

Queste disposizioni attengono tuttavia al solo profilo esterno della responsabilità, e cioè alla responsabilità verso i creditori sociali.

Una indiretta, ma invincibile conferma della correttezza di tale approccio la sì ritrova nel disposto dell’art. 2290 cod. civ., comma 2, a tenor del quale la fuoriuscita dalla compagine del socio deve essere portata a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, essendo altrimenti inopponibile a quelli che l’abbiano senza colpa ignorata (confr. Cass. civ. 26 novembre 2008, n. 28225).

In mancanza di adeguate forme di pubblicità della cessazione del rapporto societario, questo continua dunque a operare, in relazione ai terzi, dando luogo a un’ipotesi di scuola di responsabilità senza debito.

Rapportato al caso di specie, tutto quanto sin qui detto comporta che, rispetto a (OMISSIS) Allestimenti, creditrice del residuo prezzo degli arredi del ristorante gestito dalla società, erano parimenti responsabili sia la C., trattandosi di obbligazione sorta prima, che la stessa dismettesse la qualità di socio, sia D.E..

6 L’incidenza interna del peso economico delle obbligazioni contratte dalla società è stata dal legislatore disciplinata, in costanza di partecipazione alla compagine, attraverso la previsione suppletiva della sua proporzionalità alla misura della partecipazione (art. 2263 cod. civ.), e, con riferimento all’ipotesi di scioglimento del rapporto sociale limitatamente al socio, per recesso o esclusione, attraverso la previsione dei criteri di liquidazione della quota dettati dall’art. 2289 cod. civ..

Tali criteri prevedono, da un lato, che la liquidazione deve avvenire in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento, situazione da redigersi nel rispetto dei principi di formazione del bilancio (confr. Cass. civ. 16 gennaio 2009, n. 1036); dall’altro, che, se vi sono operazioni in corso, il socio o i suoi eredi partecipano agli utili e alle perdite inerenti alle operazioni medesime. Il che implica, assumendo a caso paradigmatico proprio la fornitura di arredi dei quali, al momento della liquidazione della quota non sia stato integralmente pagato il prezzo, che nel calcolare la somma spettante al socio uscente dovrà tenersi conto e del valore dei beni acquistati, costituenti immobilizzazione materiali, e quindi poste attive dello stato patrimoniale; e dell’obbligazione di pagamento del prezzo, obbligazione che, nei limiti in cui non sia stata ancora adempiuta, verrà appostata al passivo, tra i debiti della società. 7 Quanto sin qui detto consente di arrivare, nello scrutinio sulla fondatezza delle critiche svolte nel secondo mezzo, a una prima affermazione.

Nessuna delle norme innanzi richiamate è applicabile ai rapporti tra cedente e cessionario della quota: non gli artt. 2269 e 2290, che attengono alla responsabilità verso i creditori sociali; non l’art. 2263, che si occupa dei rapporti tra soci; non l’art. 2289, che regolamenta quelli tra società e socio uscente.

Tale assetto normativo conferma che il legislatore ha lasciato all’autonomia contrattuale la regolamentazione della ripartizione interna delle obbligazioni già contratte dalla società al momento della cessione, ma non ancora estinte, in coerenza con la natura giuridica di bene complesso della quota sociale, bene che si sostanzia nella partecipazione a un patrimonio autonomo e il cui valore è conseguentemente determinato dal rapporto tra poste attive e poste passive dello stesso.

Ciò significa che il solo terreno sul quale poteva essere giocata la partita della incidenza, nei rapporti interni tra cedente e cessionario, dell’obbligazione di pagamento del prezzo degli arredi, era quello del contratto: quand’anche, invero, nulla fosse stato espressamente previsto in proposito nell’atto di cessione, la tesi secondo cui era la cedente la parte tenuta a sopportare, in misura corrispondente al valore della quota ceduta, il peso dell’acquisto degli arredi, andava sostenuta sulla base delle previsioni e del contenuto economico dell’accordo di cessione nonché di ogni altro elemento utile a ricostruire la volontà delle parti, secondo i canoni dettati nell’art. 1362 cod. civ., e segg..

Nella totale mancanza di allegazioni al riguardo, incombenti sulla parte che aveva assunto la posizione scomoda del deducente (secondo la regola per cui onus probandi incumbit ei qui dicit), le critiche alla decisione del giudice di merito che ha negato la sussistenza dei presupposti per l’operatività dell’eccezione di compensazione, devono ritenersi infondate alla luce del seguente principio di diritto: è problema di ermeneutica contrattuale l’individuazione, nei rapporti tra cedente e cessionario di quota di società di persone, della parte tenuta al pagamento delle obbligazioni contratte dalla società prima della cessione e non ancora estinte, inconferenti essendo, in parte qua, le previsioni degli artt. 2269 e 2290, che attengono alla responsabilità verso i creditori sociali;

dell’art. 2263, che disciplina i rapporti tra soci e dell’art. 2289, che regolamenta quelli tra società e socio uscente.

8 Col terzo motivo i ricorrenti lamentano violazione dell’art. 132 cod. proc. civ., art. 118 disp. att. cod. proc. civ., art. 1241 cod. civ., nonché nullità della sentenza per insanabile contrasto tra dispositivo e motivazione perché, una volta rilevato, quanto alla eccezione di compensazione con riferimento ai controcrediti vantati dagli opponenti per spese giudiziali, che l’opposta non li aveva mai contestati e si era già dichiarata disponibile a detrarli in sede distributiva, il decidente avrebbe dovuto accogliere l’opposizione.

9 La censura è infondata perché eccentrica rispetto alla ratio decidendi della sentenza impugnata, fondata, in sostanza, sul difetto di interesse della parte a dedurre una compensazione della quale la stessa controparte aveva riconosciuto l’operatività.

In definitiva il ricorso deve essere integralmente rigettato.

La difficoltà delle questioni consiglia di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

Commento

Cessione di quote nella società in nome collettivo e responsabilità dei soci cedente e cessionario.

  1. Il fatto.

La questione si può riassumere nell’esistenza o meno di un credito in capo alla parte cessionaria di una quota di una società in nome collettivo, da opporre in compensazione, nei confronti della parte cedente in assenza di una espressa pattuizione contenuta nell’atto di cessione.

I ricorrenti a sostegno delle loro ragioni invocavano l’applicazione al contratto di cessione di quote dell’art. 2289 c.c., in tema di liquidazione della quota del socio uscente, laddove costui ed i suoi eredi, qualora vi siano operazioni in corso, partecipano agli utili ed alle perdite relative alle operazioni medesime.

I medesimi lamentano quindi in Cassazione la violazione degli artt. 2269, 2289, 2290 c.c. dal momento che il giudice di merito non avrebbe sancito la liberazione degli opponenti dalla loro obbligazione di pagamento in forza degli artt. 2289 e 2290 c.c. ed avrebbe invece applicato l’art. 2269 c.c. che disciplina la responsabilità del socio entrante per le obbligazioni anteriore l’acquisto.

Detta norma, sostengono i ricorrenti, sarebbe infatti destinata a disciplinare esclusivamente la responsabilità dei nuovi soci nei confronti dei terzi e non già nei rapporti interni, rapporti che sarebbero, invece, presidiati dal citato art. 2289 c.c.

  1. Premessa.

Il commento della decisione necessita preliminarmente di un breve approfondimento delle norme richiamate dalla Suprema Corte, al fine anche di dare un quadro generale della cessione di quote nella società di persone.

Come è noto la società in nome collettivo è disciplinata dagli artt. 2291 – 2312 c.c., nonché in virtù del richiamo operato dall’art. 2293 c.c., dalle norme che regolano le società semplici.

La società in nome collettivo differentemente dalla sociètà semplice può avere anche ad oggetto l’esercizio di un’attività commerciale.

Le società di persone si fondano su un legame di tipo fiduciario che intercorre tra i soci, alcuni in dottrina infatti parlano di contratto concluso intuitus personae1.

Nelle società di persone, invero, differentemente dalle società di capitale, non vige il principio della libera circolazione della partecipazione sociale.

La quota non rappresenta quindi una frazione del capitale sociale ma l’espressione numerica dell’apporto che il socio reca alla società e quindi all’attività sociale2.

Le società di persone, come è noto non godono di personalità giuridica e, pertanto, la partecipazione nella società è l’espressione di un contratto tra i soci3.

In particolare si ritiene che nella società di persone la partecipazione dei soci alla società realizza in realtà una partecipazione al contratto tra i soci4.

Pur non prevedendo espressamente il nostro codice la possibilità del trasferimento della quota di società in nome collettivo, ma nemmeno escludendola, la stessa deve ritenersi ammissibile.

Secondo autorevole dottrina5 il trasferimento negoziale della quota di una società di persone è prevista nel nostro ordinamento in quanto la sostituzione della parte in un contratto di scambio è ammessa dall’art. 1406 c.c. con il consenso dell’altra parte e la sostituzione del socio di una società in nome collettivo defunto con l’erede è ammessa dall’art. 2284 c.c. ove vi consentano gli eredi ed i consoci.

Il trasferimento della partecipazione societaria si sostanzia quindi in una modifica del contratto di società secondo la disciplina della cessione del contratto e richiede il consenso di tutti i soci se non è stato convenuto diversamente (art. 2252 c.c.)6.

La cessione di una quota sociale è quindi sostanzialmente un’ipotesi di cessione di contratto con la sostituzione di uno dei soggetti che ha dato vita alla società di persone7.

Posto che la cessione della quota sociale per quanto suddetto comporta una modifica dell’atto costitutivo, mutandone i soggetti, e che l’art. 2252 c.c. dispone che il contratto sociale, se non è previsto diversamente, può essere modificato soltanto con il consenso di tutti i soci, si deve concludere che la cessione della quota di una società in nome collettivo può avvenire solo con il consenso unanime di tutti gli altri soci8 salvo patto contrario.

Conseguenza di quanto suddetto è che il trasferimento della quota, in assenza del consenso degli altri soci, non ha effetto nei confronti della società9 ma esplica i suoi effetti esclusivamente tra le parti contraenti la cessione.

Afferma invero la Suprema Corte che: “Nelle società di persone, infatti, la cessione della quota sociale può determinare il trasferimento dei diritti patrimoniali inerenti alla qualità di socio, ma non anche il trasferimento del relativo status atteso che l’ingresso di un nuovo socio postula un contratto sociale tra questo ed i vecchi soci<10.

E’ poi sempre possibile che nel contratto sociale, ovvero nell’atto costituivo, le parti si accordino diversamente derogando al principio dell’unanimità per la modifica dell’atto costitutivo11.

In tal caso non sarebbe più configurabile un contratto intuitus personae essendo manifesta la volontà dei soci, nel pattuire la libera trasferibilità della quota, di attenuare se non del tutto eliminare quei vincoli di carattere fiduciario che li legano l’uno all’altro e che di regola caratterizzano la società di persone.

L’avvenuta modifica dell’atto costitutivo deve, poi, essere iscritta all’ufficio del registro delle imprese da parte degli amministratori entro il termine di trenta giorni al fine di renderla nota e quindi opponibile ai terzi.

La modificazione dell’atto costitutivo e, per ciò che ci occupa, la cessione della quota sociale non è infatti opponibile ai terzi fino a quando non è stata perfezionata l’iscrizione12, a meno che non si dimostri che questi ne erano giunti a conoscenza (art. 2300 c.c.).

La cessione della quota sociale (ove non fosse pattuita la libera trasferibilità della quota) rappresenta un’ipotesi di scioglimento convenzionale dell’originario rapporto sociale con la creazione di un nuovo contratto sociale.

Successivamente alla cessione il cedente continua a rispondere verso i terzi di tutte le obbligazioni sociali sorte anteriormente allo scioglimento del rapporto sociale nei suoi confronti (art. 2290 c.c.).

Il cessionario, invece, ai sensi dell’art. 2269 c.c. risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all’acquisto della sua qualità di socio3

La dottrina ha variamente configurato la libera cessione della quota sociale inquadrandola ora nell’istituto della cessione del contratto ora nella novazione del contratto ed ancora nell’ambito di un procedimento complesso nel quale si verificherebbe innanzitutto lo scioglimento del contratto sociale per mutuo dissenso e quindi la stipulazione di un nuovo contratto sociale.

Potrebbe infine anche ritenersi che con il consenso preventivo alla cessione pattuito tra i soci non si configura affatto una diversa ipotesi di trasferimento della partecipazione societaria ma semplicemente si esprime un consenso preventivo alla cessione stessa e che quindi l’intuitus personae non abbia un carattere essenziale ai fini della configurazione del contratto sociale 14.

Nelle società in nome collettivo la responsabilità del nuovo socio per le obbligazioni sociali è inderogabile nei confronti dei terzi ed infatti l’art. 2291 c.c nel disporre che tutti i soci rispondono solidalmente ed illimitatamente per le obbligazioni sociali, al secondo comma prevede l’inefficacia nei confronti dei terzi di un patto che disponga diversamente.

Detto patto, quindi, qualora esistesse produrrebbe solamente effetti inter partes.

In presenza di una pattuizione che prevede una limitazione di responsabilità per le obbligazioni sociali a favore di un socio, costui, qualora sia stato costretto a pagare al creditore una somma eccedente la sua responsabilità, avrebbe in virtù degli accordi interni un diritto di regresso nei confronti degli altri soci15.

Anche alla luce della sentenza in commento è ragionevole ritenere che il diritto di regresso operi, però, solo nei confronti degli altri soci e non anche nei confronti del cedente in quanto costui, sebbene sia ancora responsabile per le obbligazioni anteriori, lo è solo nei confronti dei terzi e non anche del cessionario qualora nell’accordarsi sulla cessione della quota le parti non abbiano stabilito diversamente.

L’art. 2263 c.c. disciplina, invece, i soli rapporti tra i soci stabilendo i criteri per la ripartizione degli utili e delle perdite.

Un ultimo accenno va infine fatto all’art. 2304 c.c. che con riferimento alla responsabilità dei soci di società in nome collettivo nei confronti dei creditori sociali prevede il beneficium excussionis e quindi la necessità per il creditore di esercitare preventivamente l’escussione del patrimonio della società quale condizione per l’esercizio dell’azione nei confronti del socio 16.

  1. La decisione della Suprema Corte.

La Suprema Corte nella sentenza in commento è chiamata ad interpretare le norme che regolano la responsabilità del cedente la quota di una società in nome collettivo nei confronti del cessionario con riferimento alle obbligazioni sorte anteriormente all’acquisto da parte del cessionario della qualità di socio e non ancora estinte.

La parte cessionaria oppone infatti in compensazione al credito vantato dal cedente per l’acquisto delle quote della società un debito da essa pagato a terzi che lo vantavano nei confronti della società medesima.

Il Tribunale nel giudicare dell’opposizione all’esecuzione ed a precetto proposta dal cessionario ha ritenuto che la compensazione non potesse operare dovendosi applicare nella fattispecie, ai fini del valutare la responsabilità del nuovo socio, l’art. 2269 c.c..

La Suprema Corte pur rigettando il ricorso, e quindi confermando la sostanziale correttezza della decisione di merito, ha però precisato ed integrato la motivazione soffermandosi non solo sull’art. 2269 e 2290 c.c. ma anche sugli articoli 2263 e 2289 c.c.

Precisa la Suprema Corte che i rapporti tra socio cedente e socio cessionario devono trovare esclusivamente regolamentazione pattizia non essendo applicabile agli stessi la normativa suddetta mentre per quanto attiene ai rapporti esterni trovano applicazione gli articoli 2269 e 2290 c.c. che sono destinati a regolamentare la responsabilità nei confronti dei creditori sociali.

Secondo la Suprema Corte infine l’art. 2263 c.c. è destinato a disciplinare i soli rapporti interni tra i soci e non anche quelli relativi alla cessione della quota, mentre l’art. 2289 è relativo al caso di liquidazione della quota sociale nell’ipotesi di scioglimento della società anche limitatamente ad un solo socio, e quindi, ai rapporti tra società e socio uscente.

I ricorrenti lamentavano, infatti, la violazione dell’art. 2289 c.c. ritenendo che la medesima norma trovasse applicazione a qualsiasi ipotesi di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio e, pertanto, anche all’ipotesi di cessione della partecipazione in quanto detta cessione costituirebbe comunque una forma di attuazione del recesso del socio cedente dalla compagine sociale.

La liquidazione della quota del socio uscente, deve essere fatta in base alla situazione patrimoniale della società nel giorno in cui si verifica lo scioglimento e qualora vi siano operazioni in corso il socio ed i suoi eredi partecipano agli utili ed alle perdite inerenti alle operazioni medesime (art. 2289 c.c. secondo e terzo comma).

Sostengono i ricorrenti che nella fattispecie il debito era sì sorto anteriormente allo scioglimento del rapporto sociale, ma non era qualificabile come perdita derivante da un’operazione in corso in quanto non era ancora scaduto il termine di adempimento allo stesso debito.

A sostegno della loro tesi i ricorrenti richiamavano, inoltre, una precedente sentenza della Suprema Corte 17 che aveva statuito: “La cessione della quota di s.n.c., ove non rimanga limitata ai rapporti inter partes ma trovi il consenso unanime occorrente per la variazione della compagine sociale con il subingresso del cessionario al cedente, segna il perfezionarsi del recesso di quest’ultimo e la sua soggezione alla responsabilità delineata dall’art. 2290 c.c. per le obbligazioni sociali”.

Nella sentenza in commento la Suprema Corte afferma invece che la responsabilità del socio entrante per le obbligazioni anteriori all’acquisto della qualità di socio è disciplinata dall’art. 2269 c.c. (in virtù del richiamo operato dall’art. 2293 c.c.) e che l’art. 2290 c.c. prevede la responsabilità del socio uscente per le obbligazioni sociali sorte anteriormente al giorno in cui si verifica lo scioglimento solo sotto il profilo esterno e quindi solo con riferimento ai rapporti con i creditori sociali.

Il richiamo che il ricorrente fa della sentenza della Cassazione n° 5479/99 non è quindi conferente alla fattispecie che era oggetto della controversia in esame, controversia che contrapponeva esclusivamente il socio entrante ed il socio uscente senza interessare minimamente i rapporti con i terzi se non da un punto di vista dei presupposti dedotti ai fini della richiesta compensazione.

La dottrina18 osserva che peraltro nei rapporti tra socio uscente e socio entrante esiste una possibilità di regresso del socio, che entrato nella società sia stato costretto a pagare debiti pregressi a terzi nei limiti in cui detto pagamento ecceda la sua quota di proprietà della società stessa, in quanto sarebbe stato ingannato sulla reale consistenza patrimoniale della società.

Altra dottrina ritiene invece che il socio acquirente possa avere regresso verso gli altri soci oltre che verso il cedente19.

Appare peraltro più corretto alla luce della giurisprudenza del Supremo Collegio ritenere che in altri termini l’art. 2290 c.c. disciplina sì la responsabilità del socio uscente ma nei soli confronti dei terzi mentre la sua responsabilità nei confronti del socio cessionario resta regolata esclusivamente dagli accordi intercorsi.

Un’indiretta conferma di tale affermazione la Suprema Corte la ravvisa nel secondo comma dell’art. 2290 c.c. laddove è disposto che lo scioglimento del rapporto sociale deve essere portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei20 essendo altrimenti inopponibile ai terzi che l’abbiano senza colpa ignorato.

La mancanza quindi dell’idonea forma di pubblicità della fuoriuscita del socio dalla compagine sociale dà luogo, sempre secondo la Cassazione, ad un’ipotesi di scuola di responsabilità senza debito.

Ed invero la pubblicità costituisce un fatto impeditivo della responsabilità del socio, essendo limitata tale responsabilità, in capo al socio uscente per le obbligazioni sorte successivamente alla sua uscita dalla società, alla mancata iscrizione dell’avvenuta cessione della quota, che costituisce modifica dell’atto costitutivo, presso il registro delle imprese22.

Tornando alla sentenza in esame in essa si osserva che dell’obbligazione nei confronti del terzo creditore, adempiuta dai cessionari anche per la parte posta a carico della cedente, e per la quale i ricorrenti opponevano la compensazione ritenendo di avere diritto di regresso, erano responsabili (nei confronti dei terzi) sia parte cessionaria, quale socio entrante, e sia parte cedente in quanto l’obbligazione era anteriore alla scioglimento del rapporto sociale nei suoi confronti.

La Cassazione poi richiama, con riferimento alle obbligazioni assunte in costanza di partecipazione alla compagine sociale e con riferimento all’ipotesi di scioglimento al rapporto sociale limitatamente ad un socio per recesso o esclusione, rispettivamente gli artt. 2263 e 2289 c.c. evidenziando con riferimento a tale ultima norma che essa prevede che la liquidazione debba avvenire sulla base della situazione patrimoniale della società esistente nel giorno in cui si verifica lo scioglimento e quindi nel rispetto dei principi di formazione del bilancio.

Il richiamo della Cassazione è volto a confutare l’applicabilità delle norme invocate dal ricorrente al rapporto de quo tra cedente e cessionario.

  1. Le conclusioni.

I rapporti relativi al socio uscente sono disciplinati rispettivamente nei confronti della società dall’art. 2289, nei confronti dei terzi dagli artt. 2269 e 2290 c.c., e per quanto attiene invece ai rapporti tra cedente e cessionario solo dalle pattuizioni contenute nel contratto di cessione e quindi sulla base di quanto espressamente previsto nello stesso anche con riferimento al contenuto economico del medesimo ciò in particolar modo per quanto attiene all’eventuale regresso che il socio entrante potrebbe attuare nei confronti di quello cedente ove il debito saldato ai terzi fosse eccedente il valore della quota allo stesso ceduta.

La Suprema Corte enuclea pertanto il principio di diritto in forza del quale è problema di ermeneutica contrattuale l’individuazione nei rapporti tra cedente e cessionario di una quota di società di persone del soggetto tenuto al pagamento delle obbligazioni contratte dalla società prima che si verificasse la cessione della quota e non ancora estinte a detta data e che sono inconferenti al riguardo le previsioni degli artt. 2269, 2290, 2263 e 2289 c.c.

Si può pertanto concludere che il diritto di regresso in capo al cessionario nei confronti del cedente deve essere espressamente previsto nel contratto di cessione e che tale pattuizione costituisce un’autonoma forma di garanzia prestata dal cedente nei confronti del cessionario.

Altrimenti si deve ritenere che nel pattuire il corrispettivo per il trasferimento della quota sociale le parti abbiano tenuto conto dell’eventuale posta passiva.

Leonardo Vecchione, Avvocato in Roma.

1 Cfr. F. Ferrara jr., F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2009, 281.

2 La cessione della quota di una società di persone fisiche ha come oggetto immediato la partecipazione sociale e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta, cfr. Cass. civ., 13 dicembre 2006, n. 26690; secondo Cass. civ., 3 novembre 1999, n. 4603: “La quota di una società di persone non rappresenta un bene a sé stante, ma indica la misura della partecipazione del socio”.

3Per l’Associazione Disiano Preite, Il diritto delle società a cura di G. Olivieri, G. Presti e F. Vella, Bologna, 2004, 361, la società in nome collettivo è essenzialmente un contratto.

4A. Gambino, Impresa e società di persone, Torino, 2009, 143.

5B. Libonati, Diritto commerciale impresa e società, Milano, 2005, 167.

6A. Gambino, op. cit., 142.

7 In tal senso in giurisprudenza cfr. Trib. Parma, 28 giugno 1985, in Giur. Merito, 1986, I , 834; Trib. Roma, 11 marzo 1983, in Rep. Foro it., 1985, voce Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie, n. 20. In dottina cfr. M. Ghidini, Società Personali, Padova, 1972, 656; D. Rubino, La compravendita, Milano, 1967, 230, nota 80; F. Galgano, Il principio di maggioranza nelle società personali, Padova, 1960, 209 e ss.; M. Andreoli, La cessione del contratto, Padova, 1951, 110.

8 In tal senso in giurisprudenza cfr. Cass. civ., 10 ottobre 1975, n. 3233 e Cass. civ., 4 giugno 1999, n. 5479; in dottrina sulla intrasferibilità della quota del socio illimitatamente responsabile senza il consenso degli altri soci v. C Angelici – G.B. Ferri, Manuale di diritto commerciale, Torino, 2010, 276.

E’ richiesto il consenso di tutti i soci anche quando la cessione della quota avviene a favore di un altro socio dal momento che comunque si verifica una modificazione della partecipazione del socio all’interno della società.

9 Cfr. C Angelici – G.B. Ferri, op. cit., 276; in giurisprudenza cfr. Cass. civ., 10 aprile 1979, n. 2055 e Cass. civ., 9 settembre 1997, n. 8784, secondo quest’ultima il consenso è una condicio iuris per l’opponibilità del trasferimento della quota sociale alla società ed essendo un comportamento esterno può anche essere desunto da fatti o comportamenti concludenti.

10 Cfr. Cass. civ., 10 febbraio 1971 n. 340, rv. 349863; v. anche Cass. civ., 28 marzo 1990, n. 2539; Trib. Trieste 2 luglio 1984, in Foro pad., 1985, I, 98. In dottrina cfr. R. Costi, G. Di Chio, Società in genere, società di persone, associazione in partecipazione, in Giur. sist. civ. e comm., Torino, 1991, 345.

11Secondo B. Libonati, op. cit., 167 ss, l’atto costitutivo può stabilire che la quota sociale venga ceduta non con il consenso unanime dei soci ma anche a maggioranza o addirittura la libera trasferibilità della quota. V. anche F. Di Sabato, Manuale delle società, Torino, 1990, 217 e G. Rivolta, La partecipazione sociale, Milano, 1964, 327. In giurisprudenza Cass., civ. sez., 10 febbraio 1971 n. 340 ha ritenuto in tema di società in accomandita semplice che la cessione di quote costituisce tra le parti un contratto perfetto ad efficacia reale o obbligatoria e che la distinzione posta implicitamente dalla legge all’art. 2322 c.c. tra effetti interni ed effetti esterni della cessione non produce una diversità di fattispecie negoziali e non postula quindi l’esigenza di una preventiva indagine sulla concreta direzione della volontà dei contraenti nel cui intento rientrano globalmente tutti i possibili effetti interni ed esterni della convenzione.

12Ai fini dell’iscrizione nel Registro delle Imprese è necessario che la cessione rivesta perlomeno la forma della scrittura privata autenticata.

13 La norma si applica a tutti i casi di ingresso di un nuovo socio e quindi sia che questi si aggiunga ai soci preesistenti sia che sostituisca uno di essi quale cessionario della quota, cfr. F. Ferrara jr., F. Corsi, Gli imprenditori e le società, 12a ed., Milano, 2001, 301; A. Graziani, Diritto delle società, Napoli, 1962, 128.

Il patto con il quale venisse esclusa la responsabilità del cessionario per le obbligazioni sorte anteriormente al momento dell’acquisto della quota e quindi al suo ingresso in società sarebbe inopponibile ai creditori ed avrebbe una mera efficacia obbligatoria nei rapporti interni tra i soci, cfr. M. Ghidini, op. cit., 664. Secondo A. Graziani, op. cit., 128, la responsabilità del nuovo socio è solo presunta e può essere limitata sia al momento di stipulazione dell’atto costitutivo che successivamente. Ritiene invece R. Bolaffi, La società semplice, Milano, 1947, 480, che la responsabilità del nuovo socio possa essere addirittura esclusa.

14 Cfr. G. Campobasso, Diritto commerciale, Torino, 1995, 100 e ss. e P. Spada, La tipicità delle società, Padova, 1974, 305.

15Cfr. F. Ferrara jr – F. Corsi, op. cit., 315; M. Costanza, Sulle obbligazioni solidali nelle società di persone, in Giur. comm., 1979, II, 42 e ss..

16 Il beneficium excussionis peraltro opera solo in sede esecutiva e non impedisce al creditore di agire in sede di cognizione al fine di munirsi di un titolo esecutivo nei confronti del socio. Cfr. Cass. civ., sez. lav., 12 agosto 2004, n. 15713; Cass. civ., 26 novembre 1999, n. 13183.

17 Cfr. Cass. civ., 4 giugno 1999, n. 5479.

18Cfr. G. Cottino, Diritto societario, Padova, 2006, 68; contraR. Bolaffi, op. cit., 549.

19Cfr. S. Santagata, in Studi in ricordo di Auricchio, Napoli, 1983, II, 1029 e ss..

20 V. art. 2300 c.c. che pone l’obbligo in capo agli amministratori di iscrivere entro trenta giorni la modificazione dell’atto costitutivo.

21 Secondo Cass. Civ., 26 novembre 2008, n. 28225: “La cessazione, per qualsiasi causa, dell’appartenenza alla compagine sociale del socio della società di persone, cui non sia stata data pubblicità ai sensi dell’art. 2290 c.c., non è opponibile a terzi, poiché non produce effetti al di fuori dell’ambito societario. Da ciò ne deriva che detta cessazione non pubblicizzata è inidonea ad escludere l’estensione del fallimento al socio, ai sensi dell’art. 147, R.D. 16 marzo 1942, n. 267”.

22Cfr. Cass. civ., sez. trib., 01 febbraio 2006, n. 2215.