REPUBBLICA ITALIANA
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 21 gennaio 2010, n. 997
(Presidente Varrone – Relatore Frasca)
Svolgimento del processo
p.1. Il Tribunale di Venezia ha rigettato l’appello proposto da D.V.L. avverso la sentenza con cui il Giudice di Pace di Mestre, nel provvedere sulla domanda dalla medesima proposta contro G. P. e la sua assicuratrice per la r.c.a. (OMISSIS) per il risarcimento dei danni sofferti in conseguenza di un sinistro stradale occorso il (OMISSIS), aveva, pur riconoscendo la responsabilità della causazione del sinistro da parte del P., negato, nel liquidare il danno, la spettanza del rimborso della spesa sostenuta da essa ricorrente per la prestazione ante causam di un’assistenza infortunistica da parte di uno studio di infortunistica stradale.
L’appello, svoltosi nel contraddittorio effettivo della società assicuratrice e nella contumacia del P., è stata rigettato dal Tribunale sulla premessa che le spese sostenute per l’attività stragiudiziale sono risarcite “solo se l’assistenza sia stata in concreto resa necessaria o utile dalla contestazione ad opera della controparte del diritto al risarcimento, ai fini del consentire al danneggiato di quantificare correttamente le proprie pretese, anche ai fini conciliativi in presenza di contestazioni o difformi valutazioni della Compagnia di Assicurazioni”. Nella specie non risultava che l’assicurazione avesse contestato la responsabilità del suo assistito e nemmeno l’entità delle lesioni sofferte dalla danneggiata (che erano state determinate dalla società assicuratrice in modo conforme alla perizia stragiudiziale fatta eseguire dalla danneggiata) o le altre voci di danno, essendosi, invece, il contrasto incentrato solo sull’applicabilità o meno delle tabelle introdotte dalla L. n. 57 dei 2001. L’intervento dell’agenzia infortunistica non si era, però – ad avviso del Tribunale – connotato come necessario o utile, tanto più che la posizione assunta dalla società assicuratrice in senso positivo sulla questione dell’applicazione delle dette tabelle non si era modificata a seguito della corrispondenza con l’agenzia stessa, mentre non risultavano provate altre attività. p.2. Contro la sentenza la D.V. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi contro il P. e (OMISSIS)., qualificandola come “già (OMISSIS)”, senza, peraltro nulla spiegare al riguardo.
Ha resistito con controricorso (OMISSIS), mentre non ha svolto attività difensiva il P..
La ricorrente ha depositato memoria.
p.1. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di rito (nel senso dell’inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso) formulata dall’ (OMISSIS) sotto il profilo che il ricorso le sarebbe stato notificato non presso la sua sede legale, bensì presso il difensore costituito per la (OMISSIS), il quale non aveva ricevuto mandato da essa resistente.
L'(OMISSIS) è stata chiamata nel presente giudizio di legittimità come società che già si denominava o si identificava con la (OMISSIS)e, pertanto, l’indicazione della sua legittimazione non è stata fatta da parte della ricorrente come quella di un soggetto che sia “altro” rispetto a quello originario, cioè alla (OMISSIS), bensì come quella di un soggetto che è il medesimo con una diversa denominazione. Tale allegazione, se l’intimata nella detta qualità non si fosse costituita, avrebbe onerato la ricorrente di dimostrarla (nel rispetto dell’art. 372 c.p.c.). Viceversa, una volta che l’intimato ha ritenuto di costituirsi, era suo onere prendere posizione sulla detta allegazione, contestandola, se del caso, per genericità, oppure specificando i termini della sua relazione con la (OMISSIS). La resistente, invece, non ha tenuto nè l’uno nè l’altro atteggiamento, ma si è limitata alla mera allegazione che il ricorso era stato notificato presso un difensore che non aveva la sua rappresentanza in giudizio, “in quanto la stessa cioè essa (OMISSIS) non era parte di quel procedimento giudiziario”. Di tale allegazione – cioè del suo non essere parte nel giudizio di merito – non ha dato, però, alcuna spiegazione e, pertanto, l’ambiguità della sua prospettazione si risolve in un dato sufficiente a giustificare la veridicità dell’allegazione di parte ricorrente.
E ciò senza che occorra scrutinare la questione della riferibilità del mandato professionale del difensore della (OMISSIS) all’ (OMISSIS), eventualmente al lume dell’art. 2540 bis c.c..
L’eccezione è infondata e va, pertanto, rigettata. p.2. Con il primo motivo di ricorso si denuncia “violazione o falsa applicazione dell’art. 1223 c.c., e/o art. 1227 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”.
Il motivo, dopo una introduzione in cui vengono richiamate decisioni di questa Corte (Cass. n. 13801 del 2004 e n. 1191 del 2003) favorevoli al riconoscimento come danno risarcibile delle spese per l’assistenza stragiudiziale ove resa necessaria o utile per la contestazione della controparte e dopo avere sostenuto che ciò non sarebbe stato posto in dubbio dal Tribunale, ipotizza che non sarebbe ben chiaro se con la sua motivazione lo stesso Tribunale abbia inteso o meno richiamare la norma dell’art. 1227 c.c., comma 2, a fondamento della soluzione prescelta e, per il caso positivo, sostiene che per fare corretta applicazione del principio espresso da quella norma il Tribunale si sarebbe dovuto chiedere se essa danneggiata era stata in grado, prima di rivolgersi allo studio di consulenza infortunistica, di tutelare adeguatamente le proprie ragioni da solo. Soltanto nell’ipotesi di una risposta affermativa il rimborso della relativa spesa avrebbe dovuto negarsi, quale danno che essa ricorrente avrebbe potuto evitare con l’ordinaria diligenza.
Al riguardo, si asserisce che siffatta risposta affermativa avrebbe richiesto l’esame del caso concreto, “dovendosi esaminare le tematiche coinvolte nel caso stesso, l’accessibilità ai relativi concetti da parte di un quivis de populo quale è il danneggiato ed infine la capacità di pretendere da parte di quest’ultimo, in contraddittorio con l’assicuratore per rea del responsabile, l’integrale risarcimento dei danni subiti”. Si invoca, poi, Cass. n. 3565 del 1996, che avrebbe rigettato un motivo di ricorso con cui si censurava per violazione dell’art. 1227 c.c., comma 2, il riconosciuto risarcimento delle spese legali ante causarti al danneggiato in un sinistro stradale, e affermato che “non può, infatti, addebitarsi alla parte – la quale, pur senza esservi tenuta, si rivolga, nondimeno, ad un avvocato per lo svolgimento di attività di rilevanza giuridica – difetto di diligenza, così come richiede la norma, tanto più che la stessa tariffa forense disciplina anche la materia stragiudiziale, talchè è rimesso alla parte avvalersi o meno di assistenza legale: con la conseguenza che, nel primo caso, a ragione la stessa può chiedere, nel giudizio di risarcimento del danno, in vista del quale tale assistenza sia stata richiesta e prestata, il rimborso della somma, a tal fine erogata”. p.2.1. Con il secondo motivo si denuncia “insufficiente, contraddittoria e illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 59″.
Erroneamente il Tribunale, pur avendo assunto sotto il profilo giuridico un principio corretto (quello per cui “tra i danni risarcibili vanno ricompresse le spese sostenute per assistenza stragiudiziale, solo se l’assistenza sia stata in concreto resa necessaria o utile dalla contestazione ad opera della controparte del diritto al risarcimento, ai fini del consentire al danneggiato di quantificare correttamente le proprie pretese, anche ai fini conciliativi in presenza di contestazioni o difformi valutazioni della Compagnia di Assicurazioni”), lo avrebbe male applicato, là dove – pur avendo dato atto dell’esistenza fra le parti di un contrasto in ordine alla questione dell’applicabilità per la liquidazione del danno delle tabelle di cui alla L. n. 57 del 2001, ancorchè il sinistro si fosse verificato anteriormente alla loro entrata in vigore e della gestione del medesimo da parte dell’agenzia infortunistica – ha escluso la responsabilità per detta spesa non già per la sua evitabilità da parte della ricorrente, bensì per la circostanza che comunque l’intervento dello studio professionale non aveva determinato una modificazione dell’atteggiamento dell’assicuratore sulla questione delle tabelle. Il Tribunale, viceversa, non avrebbe dovuto dare rilievo all’efficacia causale sull’atteggiamento della società assicuratrice dell’intervento de quo, ma avrebbe dovuto interrogarsi sulla possibilità che la D.V. potesse affrontare la problematica da sola e considerare che l’intransigenza della stessa società era stata superata solo dalla sentenza di primo grado, che aveva accertato l’inapplicabilità delle tabelle di cui alla citata legge, il che rivelava che la discussione stragiudiziale sulla relativa questione non avrebbe potuto ricadere nell’ambito dell’art. 1227 c.c., comma 2, tanto più che l’assicurazione aveva riconosciuto l’attività ed utilità dell’intervento dello studio professionale in un’offerta transattiva di cui alla lettera del 2 luglio 2001 e s’era accollata la relativa spesa e ciò anche nel caso in cui la ricorrente avesse accettato il risarcimento secondo le tabelle. p.3. L’esame dei due motivi può procedere congiuntamente, atteso che anche il secondo, al di là della sua formale proposizione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, involge una quaestio iuris, inerente l’errore del Tribunale nel rifiutarsi di sussumere la spesa sostenuta per l’intervento dell’agenzia infortunistica sotto la nozione giuridica de danno risarcibile a cagione della inidoneità dello stesso a determinare la modificazione dell’atteggiamento della società assicuratrice sull’applicabilità delle tabelle.
Si tratta, dunque, di una censura in iure e non in fatto, atteso che non si assume che vi sia stata un’erronea ricostruzione del fatto, ma si contesta la valutazione dello stesso, per come pacificamente ricostruito, ad integrare il presupposto per considerare giuridicamente risarcibile la spesa stragiudiziale.
E’ proprio questa censura che è prioritaria e comunque appare pertinente rispetto alla motivazione della sentenza impugnata, la quale, come del resto riconosce la stessa ricorrente, assume corrette premesse in punto di risarcibilità come danno delle spese stragiudiziali sopportate dalla parte poi risultata in tutto od in parte vittoriosa.
Ciò chiarito, si osserva che questa Corte ha innanzitutto da tempo affermato che “In tema di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, nella speciale procedura per il risarcimento del danno da circolazione stradale, introdotta con L. n. 990 del 1969, e sue successive modificazioni, il danneggiato ha facoltà, in ragione del suo diritto di difesa, costituzionalmente garantito, di farsi assistere da un legale di fiducia e, in ipotesi di composizione bonaria della vertenza, di farsi riconoscere il rimborso delle relative spese legali; se invece la pretesa risarcitoria sfocia in un giudizio nel quale il richiedente sia vittorioso, le spese legali sostenute nella fase precedente all’instaurazione del giudizio divengono una componente de danno da liquidare e, come tali devono essere chieste e liquidate sotto forma di spese vive o spese giudiziali”. (Cass. n. 2775 del 2006).
Si è, altresì, specificato che “Le spese legali corrisposte dal cliente al proprio avvocato in relazione ad attività stragiudiziale seguita da attività giudiziale devono formare oggetto di liquidazione con la nota di cui all’art. 75 disp. att. c.p.c., se trovino adeguato compenso nella tariffa per le prestazioni giudiziali, potendo altrimenti formare oggetto di domanda di risarcimento del danno nei confronti dell’altra parte, purchè siano necessarie e giustificate, condizioni, queste che si desumono dal potere del giudice di escludere dalla ripetizione le spese ritenute eccessive o superflue, applicabile anche agli effetti della liquidazione del danno in questione”. (Cass. n. 14594 del 2005).
Il concetto di necessità e giustificatezza è evocato anche da altra decisione: si veda. Cass. n. 9400 del 1999. p.3.1. Ora, queste decisioni sono relative all’ipotesi in cui la spesa stragiudiziale sia stata sostenuta per avere la parte, che poi abbia agito giudizialmente investito della vicenda un avvocato. La legittimità di un simile incarico è indiscutibile perchè la prestazione di assistenza legale stragiudiziale trova nell’ordinamento riconoscimento nella stessa tariffa professionale forense.
Se ci si domanda se un analogo principio possa trovare applicazione allorquando, come nella specie, l’assistenza stragiudiziale sia prestata da un soggetto che non rivesta la qualità di professionista legale iscritto all’apposito albo ed in particolare se ci si chiede se in tal caso sia d’ostacolo l’essere stata la prestazione svolta da un soggetto non avente quella qualità, la risposta a quest’ultimo interrogativo dev’essere negativa e, quindi, ne segue la risposta positiva al primo interrogativo.
E’ stato, infatti, affermato che “La prestazione di opere intellettuali nell’ambito dell’assistenza legale è riservata agli iscritti negli albi forensi solo nei limiti della rappresentanza, assistenza e difesa delle parti in giudizio e, comunque, di diretta collaborazione con il giudice nell’ambito del processo; al di fuori di tali limiti, l’attività di assistenza e consulenza legale non può considerarsi riservata agli iscritti negli albi professionali e conseguentemente non rientra nella previsione dell’art. 2231 c.c., e da diritto a compenso a favore di colui che la esercita”. (Cass. n. 12840 del 2006; nello steso senso Cass. n. 7539 del 1997. Si veda pure Cass. n. 5906 del 1987).
Dunque, del tutto irrilevante è che l’attività di assistenza legale sia stata prestata nella specie da un soggetto che non rivestiva la qualità di professionista legale. p.3.2. Raggiunta questa conclusione appare palese che il Tribunale ha fatto erronea applicazione del principio della ripetibilità come voce di danno emergente della spesa di assistenza stragiudiziale secondo il criterio della necessità e giustificatezza, là dove ha fatto dipendere la ripetibilità dalla verificazione del risultato positivo dell’attività espletata sull’atteggiamento della controparte. In tal modo il Tribunale ha applicato un criterio che è in manifesta contraddizione con la premessa giuridica che giustifica la considerazione della spesa stragiudiziale sopportata dal danneggiato come danno emergente, riconoscibile in sede giudiziale. Tale considerazione, infatti, suppone che il diritto al risarcimento del danno sia riconosciuto in sede giudiziale e, quindi, per definizione che non lo sia stato in sede stragiudiziale. Ciò, implica necessariamente che l’attività di assistenza stragiudiziale non sia stata idonea a realizzare il suo scopo, quello della consecuzione del risarcimento nei modi e nei termini esplicitati da essa, prima del giudizio.
Non si comprende, dunque, come l’esclusione della sussistenza del danno per le spese sopportate si sia potuta far dipendere, da parte del Tribunale, dal fatto che la società assicuratrice era rimasta ferma sulle sue posizioni nonostante l’attività dello studio di consulenza infortunistica.
Va semmai rilevato che, se pure stragiudizialmente, dopo l’intervento del detto studio la società assicuratrice avesse riconosciuto fondata la prospettazione sulla inapplicabilità delle tabelle di cui alla citata legge assunta dallo studio che aveva prestato l’attività di assistenza (e, quindi, in definitiva, dalla stessa ricorrente, di cui lo studio era mandataria), l’eventuale riconoscimento stragiudiziale totale o parziale della pretesa risarcitoria nei termini prospettati dalla ricorrente ed in particolare della sua prospettazione sulle tabelle, avrebbe comportato comunque la astratta configurabilità come danno conseguenza ai sensi dell’art. 1223 c.c., della perdita costituita dall’esborso sopportato per l’intervento dello studio di consulenza, salva naturalmente la valutazione sul quantum. E sarebbe stata salva, nel caso di soddisfacimento stragiudiziale del diritto risarcitorio senza riconoscimento di alcunchè sotto tale profilo da parte della società assicuratrice, la stessa possibilità della ricorrente di agire per conseguirla, salva la valutazione sull’an e sul quantum. p.3.3. La sentenza impugnata dev’essere, dunque, cassata con rinvio al Tribunale di Venezia, che deciderà – anche sulle spese del giudizio di cassazione – in persona di diverso magistrato addetto all’ufficio ed applicherà il seguente principio di diritto: “in caso di sinistro stradale, qualora il danneggiato abbia fatto ricorso all’assistenza di uno studio di assistenza infortunistica stradale ai fini dell’attività stragiudiziale diretta a richiedere il risarcimento del danno asseritamente sofferto al responsabile ed al suo assicuratore, nel successivo giudizio instaurato per ottenere il riconoscimento del danno, la configurabilità della spesa sostenuta per avvalersi di detta assistenza come danno emergente non può essere esclusa per il fatto che l’intervento di detto studio non abbia fatto recedere l’assicuratore dalla posizione assunta in ordine all’aspetto della vicenda che era stato oggetto di discussione e di assistenza in sede stragiudiziale, ma va valutata considerando, in relazione all’esito della lite su detto aspetto, se la spesa sia stata necessitata e giustificata in funzione dell’attività di esercizio stragiudiziale del diritto al risarcimento”.
Il giudice di rinvio si conformerà a tale principio, tenendo conto delle motivazioni innanzi svolte quanto alla contestazione in ordine all’applicabilità delle tabelle.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Venezia, che deciderà, anche sulle spese del giudizio di cassazione, in persona di diverso magistrato addetto all’ufficio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 1 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2010
NOTA
Il regime della liquidazione del compenso per l’attività stragiudiziale seguita da attività giudiziale.
La sentenza in esame, in tema di risarcimento danni da incidenti stradali, è un’ulteriore conferma della precedente giurisprudenza di legittimità che affrontava la questione del pagamento delle spese legali per l’assistenza stragiudiziale.
Premesso che le spese legali per attività stragiudiziale sono dovute dal cliente al proprio avvocato anche nel caso in cui il medesimo abbia prestato la sua opera nella fase giudiziale1 occorre chiarire quando possano essere addebitate alla controparte.
Le questioni esaminate dalla Suprema Corte sono fondamentalmente due.
In primo luogo si è valutato se le spese sostenute per l’attività stragiudiziale debbano essere risarcite solo nel caso in cui l’assistenza sia stata in concreto resa necessaria od utile dalla contestazione ad opera della controparte del diritto al risarcimento del danno al fine di consentire al danneggiato una corretta quantificazione delle proprie pretese.
La Cassazione si è poi soffermata sulla debenza delle spese stragiudiziali nel caso in cui l’assistenza sia stata prestata da un soggetto che non riveste la qualità di professionista legale iscritto all’albo.
Con riferimento alla prima questioneil problema non si pone se la liquidazione del danno è operata mediante un accordo transattivo in quanto in tal caso essendo l’assistenza legale stragiudiziale una voce di danno è evidente che la stessa deve essere ricompresa nella liquidazione trans attivamente effettuata e sovente anzi detto compenso viene erogato al professionista direttamente dall’impresa assicuratrice con le modalità di cui al comma 11 dell’art. 148 del Dlgs. n. 209/2005.
Il danneggiato ha, invero, la facoltà di farsi assistere da un legale di fiducia, in ragione del suo diritto di difesa costituzionalmente garantito, ed, in ipotesi di composizione bonaria della vertenza, di ottenere il rimborso delle relative spese legali2.
Nel caso in cui, invece, venga avviata la procedura di risarcimento diretto, di cui all’art. 149 della medesima legge, il rimborso delle spese legali per la fase di assistenza stragiudiziale sarebbe comunque dovuto al danneggiato che abbia rifiutato l’offerta di risarcimento qualora la medesima offerta formulata dalla propria compagnia assicuratrice pervenga successivamente al termine di sessanta giorni previsto dall’art. 148, comma 13.
Tornando alla sentenza in commento la Suprema Corte esamina, invece, la fattispecie in cui le trattative stragiudiziali non hanno avuto esito positivo e conseguentemente viene instaurato dal danneggiato un giudizio volto ad ottenere il risarcimento dei danni patiti.
Come è noto chi, colposamente o dolosamente, cagiona una danno ingiusto è obbligato, ai sensi dell’art. 2043 c.c., al risarcimento dello stesso.
Dispone, poi, l’art. 2056 c.c. che il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare secondo le disposizioni degli artt. 1223, 1226 e 1227 c.c.
Orbene nessun dubbio sul fatto che l’esborso delle spese per l’assistenza stragiudiziale costituisca una voce di danno emergente in capo al danneggiato che le abbia sostenute.
Il problema è invece di coordinamento di tale previsione con il secondo comma dell’art. 1227 c.c. laddove viene sancito il principio che il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore-danneggiato avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza.
Il diritto alla difesa e, quindi, la necessità di tutelarlo, tuttavia sorge solo laddove via sia una negazione dello stesso.
Soltanto alla luce di una contestazione o una difforme valutazione del danno ovvero di un comportamento omissivo della compagnia assicuratrice l’assistenza legale si rende dunque utile e necessaria.
In difetto non sussisterebbe il diritto al risarcimento del danno emergente, consistente nelle spese sostenute per l’assistenza legale, in quanto il comportamento non diligente del danneggiato-creditore andrebbe ad aggravare ulteriormente la posizione del debitore.
Il legislatore nella redazione dell’art. 1227 c.c. ha voluto proprio evitare tale aggravamento prevedendo l’ipotesi di concorso del fatto colposo del creditore, laddove, al primo comma è stabilita una diminuzione del risarcimento ed al secondo comma una esclusione.
Le spese per l’assistenza stragiudiziale sono quindi risarcibili sole ove siano state rese necessarie od utili a seguito delle contestazioni o delle difformi valutazioni rilevate dalla controparte4.
Non si può far dipendere la ripetibilità di dette spese dall’esito positivo dell’attività prestata in sede stragiudiziale e, quindi, dal bonario componimento della controversia o meglio dall’idoneità dell’opera prestata alla realizzazione del suo scopo perché si cadrebbe in contraddizione.
Ed infatti come giustamente osserva la Cassazione il riconoscimento del risarcimento del danno in sede giudiziale presuppone che l’attività stragiudiziale non abbia avuto esito positivo.
Nella fattispecie all’esame della Corte il Tribunale, poi, avrebbe omesso, anche se ciò sembra ultroneo rispetto alla problematica in esame, di accertare in concreto se il danneggiato fosse o meno in grado di tutelare adeguatamente da solo le proprie ragioni, tenendo anche conto del fatto che il medesimo fosse o meno in possesso di quei concetti che gli avrebbero permesso di instaurare un contraddittorio con l’impresa assicuratrice.
Tale della sentenza sembra comunque non pertinente essendo il nocciolo della questione l’esistenza di un diritto oggettivamente considerato a prescindere quindi dei soggetti che lo esercitano. In altri termini nessuna rilevanza può avere la capacità di “autodifesa” del danneggiato rilevando soltanto l’utilità e la necessità dell’opera del professionista in relazione alla fattispecie concreta del risarcimento piuttosto che con riferimento alle qualità del danneggiato.
A seguire il ragionamento contrario soltanto ove l’accertamento circa la capacità di “autodifesa” del soggetto avesse avuto esito positivo il danneggiato non avrebbe avuto diritto al rimborso delle spese sostenute per l’assistenza stragiudiziale in quanto le avrebbe potute evitare con l’uso dell’ordinaria diligenza.
Precedentemente la Suprema Corte5 con maggior chiarezza e coerenza aveva ritenuto il richiamo all’art. 1227 secondo comma destituito di fondamento: “non può, infatti, addebitarsi alla parte – la quale, pur senza esservi tenuta, si rivolga, nondimeno, ad un avvocato per lo svolgimento di attività di rilevanza giuridica – difetto di diligenza, così come richiede la norma, tanto più che la stessa tariffa forense disciplina anche la materia stragiudiziale, talché è rimesso alla parte avvalersi o meno di assistenza legale: con la conseguenza che, nel primo caso, a ragione la stessa può chiedere, nel giudizio di risarcimento del danno, in vista del quale tale assistenza sia stata richiesta e prestata, il rimborso della somma, a tal fine erogata”.
L’utilità dell’intervento di un professionista deve essere quindi valutata considerando l’esito della lite sul punto controverso e nell’accertamento positivo sta la necessità e la giustificazione della spesa.
Il diritto di difesa è un diritto costituzionalmente garantito (art. 24 Costituzione) e, pertanto, le spese legali sostenute antecedentemente all’instaurazione di un giudizio che ha avuto esito positivo diventano una componente del danno da risarcire e devono essere chieste e liquidate sotto forma di spese vive o spese giudiziali6.
Giurisprudenza costante della Suprema Corte7 è poi che le spese legali corrisposte dal cliente al proprio avvocato in relazione ad attività stragiudiziale seguita da attività giudiziale devono formare oggetto di liquidazione con la nota di cui all’art. 75 disp. att. c.p.c., se trovino adeguato compenso nella tariffa per le prestazioni giudiziali, potendo altrimenti formare oggetto di domanda di risarcimento dei danni nei confronti dell’altra parte. Dette spese devono essere tuttavia necessarie e giustificate potendo il giudice, in difetto di tali condizioni, escludere dalla ripetizione le spese ritenute eccessive o superflue come espressamente prevede il primo comma dell’art. 92 c.p.c..
Secondo la citata giurisprudenza la liquidazione del compenso per l’attività stragiudiziale seguita da attività giudiziale è attratta in via generale dalla tariffa forense ed è soggetta al regime di cui agli artt. 90 e ss. c.p.c. ad eccezione dei casi in cui, ricorrendo i suesposti requisiti, la liquidazione delle spese stragiudiziali costituisca fondamento di un risarcimento del danno emergente.
Nella sentenza in commento la Suprema Corte affronta infine la questione dell’ammissibilità della consulenza legale in sede stragiudiziale da parte di un soggetto non iscritto all’albo professionale.
Al riguardo, concordemente con la precedente giurisprudenza8, rileva che: “la prestazione di opere intellettuali nell’ambito dell’assistenza legale è riservata agli iscritti negli albi forensi solo nei limiti della rappresentanza, assistenza e difesa delle parti in giudizio e, comunque, di diretta collaborazione con il giudice nell’ambito del processo; al di fuori di tali limiti, l’attività di assistenza e consulenza legale non può considerarsi riservata agli iscritti negli albi professionali e conseguentemente non rientra nella previsione dell’art. 2231 c.c. e dà diritto a compenso a favore di colui che la esercita”.
Poiché progetti di legge diretti ad estendere la riserva di assistenza legale da parte degli iscritti all’albo forense anche per quanto attiene all’attività stragiudiziale o di consulenza non hanno avuto accoglimento l’indirizzo giurisprudenziale richiamato nella sentenza in esame deve ritenersi corretto.
Avv. Leonardo Vecchione
1 L’art. 2 contenuto nel cap. III, “Tariffa degli onorari e delle indennità spettanti agli avvocati in materia stragiudiziale”, delle Tariffe forensi vigenti, approvate con il Decreto Ministeriale 8 aprile 2004, n. 127, dispone che: “I rimborsi ed i compensi previsti per le prestazioni stragiudiziali sono dovuti dal cliente anche se il professionista abbia prestato nella pratica la sua opera in giudizio, sempre che tali prestazioni non trovino adeguato compenso nella tariffa per le prestazioni giudiziali”.
2 Cfr. Cass. n. 11606/05.
3 In tema di sinistro stradale soggetto alla disciplina del risarcimento diretto ex art. 149 D.lgs. n. 209/2005, qualora l’impresa di assicurazione non abbia inviato al proprio assicurato-danneggiato l’offerta di risarcimento oltre il termine di sessanta giorni stabilito dall’art. 148, comma 1, D.lgs. n. 209/2005 e il danneggiato non abbia accettato tale offerta, essa è tenuta a rimborsare all’assicurato le eventuali spese legali stragiudiziali sostenute da questo a tutela del suo diritto (cfr. Giudice di pace Milano 31 luglio 2008 n. 19143).
4 Cfr. Cass. n. 1381/2004; Cass. n.1191/03.
5 Cfr. Cass. n. 3565/96.
6 Cfr. Cass. N. 2775/06.
7 Cfr. Cass. n. 14594/05; Cass. n. 940/99.
8 Cfr. Cass. n. 12840/06, Cass. n. 7539/97; Cass. n. 5906/87.